Matteo Renzi, senatore ed ex premier, ormai avrà l’arduo compito di essere il “primo oppositore”.
Nei prossimi mesi, ci riferiscono, lascerà o trasformerà il PD (che ormai ha un brand negativo) in qualcosa di nuovo, di più liberale e popolare e chissà che non si unirà a Silvio Berlusconi, in un’unica alleanza repubblicana e moderata. Vediamo insieme il primo discorso da Parlamentare.
Signora presidente del Senato, signore presidente del Consiglio, signori ministri, colleghe e colleghi. Il presidente del Consiglio dei ministri non avrà la nostra fiducia, ma avrà sempre il nostro rispetto. Lo diciamo perché siamo convinti che nell’abisso valoriale che il senatore La Russa ha testé certificato vi siano degli elementi che devono tenerci insieme, tutti. Il rispetto dei ruoli del governo e delle opposizioni. Con il giuramento lei, signor presidente, rappresenta anche noi.
Lei è anche il nostro presidente del Consiglio dei ministri e noi la rispetteremo sempre, in quest’aula e fuori da quest’aula. La rispetteremo fuori da quest’aula là dove lei porterà il tricolore. Già nei prossimi giorni al G7 in Canada.
La rispetteremo quando, alla fine del mese, ci rappresenterà al Consiglio europeo di Bruxelles. La difenderemo e la rispetteremo quando, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite lei prenderà la parola a nome di tutti noi.
Anche per questo motivo siamo rimasti abbastanza sorpresi dal suo riferimento alle opposizioni. Ma vogliamo prenderla sul serio fin dal primo minuto. Le garantiamo che la nostra opposizione non occuperà mai, come accaduto la scorsa legislatura, i banchi del governo in tono provocatorio. Non occuperà mai la poltrona del presidente del Senato. Non insulterà mai, sui social, i ministri della Repubblica. Non attaccherà mai le istituzioni del nostro paese al grido “mafia, mafia, mafia!” che il governo della Repubblica nel gennaio del 2015 dovette ricevere da un gruppo parlamentare a Strasburgo, dando fiato a quei pregiudizi che contro di noi tanta parte dell’Europa continua ad alimentare.
Dunque signor presidente del Consiglio buon lavoro. Tra l’altro lei può, con la sua presenza, dimostrare che una parte del racconto della XVII legislatura era falso. Lei è un premier non eletto, potrei dire un collega. Ma nessuno le sta negando la legittimità come avvenne nella XVII legislatura. Perché non c’è alcun motivo per negarle la legittimità. Lei rappresenta un governo che non si è presentato insieme dagli elettori.
Senatore La Russa, accettiamo tutte le polemiche, ma è un dato di fatto che in quest’aula, accanto a una posizione più o meno condivisibile del M5s, vi è oggi la presenza di una triplice posizione sul voto, l’astensione e il voto contrario di chi si è presentato insieme agli elettori. Prima di farci la morale si guardi allo specchio e veda come davanti agli elettori avete detto il contrario di quello che state dicendo qui.
Avete detto che è iniziata la Terza Repubblica. Gli 89 giorni di teatrino cui abbiamo assistito ci fanno pensare che continui la Prima Repubblica. Lo dico solo per l’armamentario verbale che avete utilizzato. I “due forni” è un’espressione che non sentivamo dagli anni Novanta. E, lasciatemelo dire, il continuo riferimento culturale ad alcune espressioni che, non so se potranno finalmente portare al “governo del cambiamento”, intanto è cambiato il vocabolario e lo considero un passo in avanti.
Me le sono segnate. Quello che nella XVII legislatura era il “governo dei non eletti” oggi si deve dire “governo dei cittadini”. Quello che nella XVII legislatura era “inciucio”, da oggi si deve chiamare “contratto”. Quello che nella XVII legislatura si chiamava “trionfo della partitocrazia”, si deve chiamare “democrazia parlamentare”. Quello che nella XVII legislatura si chiamava “condono”, si deve chiamare “pace fiscale”. Quello che nella XVII legislatura si chiamava – vicepresidente del Consiglio con delega importante al Viminale, buon lavoro ministro Salvini – “uomo che tradiva l’alleanza che lo aveva eletto”, nella XVIII legislatura si deve chiamare “cittadino che aiuta il governo a superare la frasi di crisi”. Non so se cambierete il paese intanto avete rasserenato il clima politico, lo considero un passo positivo.
Perché votiamo contro? Perché questo contratto è scritto con l’inchiostro simpatico. È un contratto che è garantito da un assegno a vuoto. La flat tax costa 60 miliardi, se la facciamo sul serio. Se poi la facciamo per finta, va tutto bene. Ieri qualcuno ha detto “facciamo la flat tax finalmente per le imprese”. C’è dal 1973 per le imprese. Il punto è se fate quello che avete promesso.
Se la fate costa 60 miliardi, auguri. Non solo. Non venga presidente del Consiglio in quest’aula a dirci che fate l’intervento sulle pensioni d’oro perché, lo dico semplicemente per una qualche esperienza del passato, se lei introduce una tassazione particolare o comunque un contributo di solidarietà per le pensioni che prendono più di 5.000 euro netti, come da contratto – noi il contratto lo abbiamo letto e va letto, tutti noi lo dobbiamo leggere, non dobbiamo fare ironia, perché sarà quello su cui decreteremo il fallimento o il successo di questa esperienza di legislatura.
Ma se fate l’intervento sulle pensioni superiori ai 5.000 euro netti, che lei anche nel suo intervento ha richiamato, recuperiamo 110 milioni di euro. Non è male. Se però lei fa la flat tax per 30 mila pensionati d’oro, spendiamo 760 milioni di euro. Allora mettiamoci d’accordo. O chiediamo un contributo di solidarietà o facciamo la flat tax. Perché non possiamo prendere in giro i cittadini come rischiamo di fare sul reddito di cittadinanza. Quando la gente si presenta in coda agli uffici per chiedere il reddito di cittadinanza è perché aspetta un cambiamento vero che voi gli avete promesso. Noi no. Abbiamo anche perso, ma comunque non glielo abbiamo promesso.
E vale per l’Ilva. A 20 mila persone diamo un lavoro, come ricordava la collega Bellanova, o diamo un reddito di cittadinanza. La legge Fornero. Va benissimo nei talk show ma la legge Fornero costa, se va bene, 12 miliardi, se va male 20. Ne avete messi 5 nel contratto, nel bilancio vedremo. Potrei continuare con vaccini, Tap, Tav, ma c’è un punto fondamentale per il quale motivo il no. E so di motivarlo sulla base di una considerazione politica. In tempi di antipolitica mi tolgo questo lusso. Non è nemmeno il contratto, non è nemmeno il precedente della XVII legislatura che noi siamo una cosa diversa da voi.
Una parte importante dell’opinione pubblica crede che in quei banchi ci sia il bipolarismo di domani. Noi pensiamo che in quei banchi ci sia la coalizione di domani. E che l’alternativa sia radicalmente un’altra. Voi siete due forze politiche ben diverse anche se alcuni tratti caratteriali vi rendono simili. Qualcuno è entrato in Parlamento nel 1992 agitando un cappio, chi vi è entrato nel 2013 agitava più banalmente un apriscatole per il tonno. Ma entrambi utilizzate tecniche di aggressione verbale in particolare sui social network, che mi lasciano perplesso, che non vedranno mai noi protagonisti. Anche noi potremmo fare l’elenco e lo screaning delle persone che stanno da quella parte del tavolo. E sottolineare come qualcuno di voi ha assunto parenti come portaborse, qualcuno di voi ha utilizzato la prescrizione, qualcuno di voi ha avuto problemi con il finanziamento ai partiti, qualcuno di voi ha avuto intercettazioni antipatiche, problemi con il fisco. Ma non ci permetteremo di utilizzare il metodo di aggressione verbale che voi avete avuto. Perché siamo un’altra cosa.
E siamo un’altra cosa sull’Europa perché lei presidente del Consiglio si gira alla sua destra e ha il vicepresidente del Consiglio la cui forza politica siede al parlamento europeo con Farage, alla sua sinistra ha il vicepresidente del Consiglio che siede al parlamento europeo con Marine Le Pen. Siamo un’altra cosa perché sulla giustizia, in bocca al lupo al concittadino ministro della Giustizia, voi avete un’idea totalmente diversa da noi. Perché noi siamo per la giustizia che sia garantismo non giustizialismo. Quando sentiamo dire il nome di Davigo, rispondiamo con Beccaria ed Enzo Tortora.
Abbiamo un’altra visione della giustizia rispetto a voi. Abbiamo una visione completamente diversa sui diritti. Lei ha detto che i diritti sono venuti meno. Non è così: noi ci siamo occupati del terzo settore, dello spreco alimentare, della cooperazione internazionale – in alcuni casi, lo abbiamo fatto insieme – e dei diritti civili. C’è, però – e finisco – un doppio pensiero che vorrei affidare a lei, Presidente del Consiglio e, per il tramite del Presidente del Senato, ai due Vice Presidente del Consiglio come leader delle forze politiche principali.
Non mi colpisce che il vice presidente del Consiglio e ministro dell’interno Salvini abbia scelto di partire dalle vicende dell’immigrazione. Mi sarei stupito del contrario, ma colpisce anche a me che abbia utilizzato un’espressione “La pacchia è finita”. Il ministro Salvini o, meglio, il leader politico Salvini ci ha abituato a queste espressioni. Non le condivido perché penso – lo sa il ministro Salvini – che non sia finita la pacchia per chi attraversa il deserto, rischia di morire in mare e vede nei lager occasioni di stupro e violenza. Non penso si possa definire “pacchia”. Lei dice come prima espressione da Ministro: “La pacchia è finita”. Io dico come prima espressione da parlamentare che voglio che risuonino in questa Aula parlamentare i nomi di Mor e Modou, due ragazzi senegalesi uccisi a Firenze mentre era sindaco perché è una ferita che è tatuata nel cuore.
Vice Presidente Salvini, da padre a padre – lei ha utilizzato questa bella espressione – le chiedo di stare attento alle parole perché lei non è più soltanto leader politico; lei, Vice Presidente del Consiglio, rappresenta oggi un Paese. Non possiamo permetterci di animare questioni di crisi diplomatica con la Tunisia quando questa ha bisogno di un’Italia forte nel Mediterraneo; non possiamo permetterci di animare polemiche e di creare un clima incendiario. Vice Presidente del Consiglio, ci dia una mano. Lei guida l’ordine pubblico da qualche giorno. Lei è responsabile della sicurezza di tutti noi. Parli da padre sapendo che i figli ci ascoltano.
Non siete lo stato, oggi siete il potere
Il vice presidente del Consiglio Di Maio ha detto una frase emblematica: “Lo stato siamo noi”. Il collega Grasso l’ha criticata. Io non credo che quella frase sia felice, ma vorrei dirle – forse la stupirò e sicuramente stupisce me – che sono d’accordo con il principio, se l’ho capito. Non sono d’accordo con la frase “L’état c’est moi” di Luigi XIV. È vero che nell’ultimo periodo avete fatto la storia almeno otto volte in ottantanove giorni ed è abbastanza difficile tenere il conto. Però, lei non è lo stato, vice presidente Di Maio. Voi siete il potere oggi e in questa ha ragione a dire che tocca a voi. Non avete più alibi rispetto a ciò che avete da fare. Voi oggi rappresentate il potere, il governo, l’establishment. Io di cuore vi auguro in bocca al lupo.
Noi faremo il nostro dovere di opposizione. Inizieremo la settimana prossima, o quando saranno pronte le Commissioni, convocando la ministra della difesa nella sede del Copasir, per chiarire dei punti che ella conosce e che credo sia importante vadano conosciuti anche dagli altri.
Non vi faremo sconti ma saremo sempre dalla vostra parte quando difenderete l’interesse del paese, perché prima delle divisioni di parte c’è l’Italia e l’Italia ha bisogno di verità e chiarezza e non di polemiche e di campagna elettorale.