A cura dell’Avvocato Francesco Paolo Ledda
Il risarcimento del danno all’immagine della P.A. è un’ ipotesi particolare di danno erariale, di origine pretoria, che trova la sua giustificazione a seguito di “Tangentopoli”. Fu proprio questo fenomeno che, lacerando gravemente i gangli vitali dell’Amministrazione statale nel nostro Paese ai primi degli anni ’90, dette vita all’istituto del risarcimento del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione. Da ciò la necessità di avere a presidio della P.A. una nuova ipotesi di danno non patrimoniale a favore dell’Ente Pubblico.
D’altra parte sulla gravità del danno all’immagine è fondamentale, e chiarificatrice, la definizione che di essa viene data dalla Corte dei Conti nella sentenza della Sezione III Appello N. 55 del 1 Febbraio 2012.
“….venir meno da parte dei cittadini o anche da una categoria di soggetti (fruitori o prestatori di servizi od opere), del senso di affidamento e di fiducia nel corretto funzionamento dell’apparato della pubblica amministrazione nonché nel senso di “appartenenza all’Istituzione” stessa. Si identifica nell’offesa al rispetto di tutte quelle disposizioni poste a tutela delle competenze, delle funzioni e delle responsabilità dei soggetti pubblici e nella conseguente alterazione della sua identità quale istituzione garante, di fronte alla collettività tutta, di principi di trasparenza, legalità, imparzialità ed efficienza.”
Di rilievo alcune parole chiave “venir meno da parte dei cittadini”, “senso di affidamento e di fiducia”, “corretto funzionamento dell’apparato della pubblica amministrazione”, “alterazione della sua identità quale istituzione garante”… “di principi di trasparenza, legalità, imparzialità ed efficienza”
Logicamente, come anche il dettato della sentenza della Corte dei Conti scandisce, la reazione che conseguì e consegue ad ipotesi di questo tipo è costituita dalla “disaffezione” dei Cittadini nei riguardi delle Istituzioni. L’Opinione pubblica, spinta dalla mancanza di fiducia, viene legittimata a giudicare a priori che la condotta della P.A. sia contaminata da sprechi, disservizi, inefficienze se non, addirittura, dal compimento di reati.
In un siffatto quadro critico ogni atto illecito compiuto dal dipendente-preposto finisce per essere considerato come compiuto direttamente dall’Organo, ovvero dalla Pubblica Amministrazione! Dunque l’illecito commesso dal dipendente della P.A. fa decadere il senso di fiducia nei confronti delle Istituzioni oltre a farne svanire gli aspetti di efficienza ed efficacia che dovrebbero esserne qualità indiscusse. Da qui un “vulnus” pericoloso nella nostra Società di Diritto, basata sul “foedus” tra Cittadini e Organo Politico Amministrativo.
Con queste premesse, il risarcimento del danno all’immagine della P.A. fu riconosciuto dalla Giurisprudenza della Corte dei Conti. Si considerò infatti giuridicamente proponibile la relativa domanda risarcitoria da parte del PM senza limiti né riguardo al fatto reato generatore di responsabilità né riguardo al preventivo accertamento definitivo in sede penale. Si ritenne infatti che la domanda risarcitoria nei confronti di dipendenti della P.A. che avessero commesso un illecito fosse proponibile dal PM contabile della Corte dei Conti senza alcuna preventiva pronuncia da parte del Giudice penale e senza limiti riguardanti il tipo di reato commesso. Era evidente la completa autonomia tra il danno di immagine e la responsabilità penale, nel pieno rispetto del principio di autonomia tra magistratura contabile e magistratura penale, del principio del giusto processo e della celerità dei processi. In sostanza il PM contabile poteva proporre domanda risarcitoria senza alcun limite, sia in ordine al fatto generatore di responsabilità, sia riguardo alla necessità che tale fatto venisse preventivamente accertato in sede penale.
Ma dopo questo inizio deciso, ecco che nel 2009 interviene un profondo cambiamento dovuto all’introduzione del comma 30 ter all’art. 17 del Decreto Legge n. 78 del 2009, convertito nella Legge n. 102 del 2009. Il c.d. Lodo Bernardo, riforma normativa che prende il nome dal deputato Maurizio Bernardo suo proponente. Tale riforma prevede chiaramente che le procure della Corte dei Conti possano esercitare l’azione per il risarcimento del danno di immagine provocato da un dipendente della P.A. “nei soli casi e nei modi previsti” dall’art. 7 della Legge 97 del 2001, rubricata “Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”.
Scendendo nel dettaglio, il succitato art. 7 rubricato “responsabilità per danno erariale”, nel suo unico comma recita: “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’articolo 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei Conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.”
Il c.d. Lodo Bernardo usciva chiaramente dalla rotta seguita dalla precedente disciplina normativa.
La nuova Norma, come detto, introdotta nel Decreto Legge anticrisi n. 78 del 2009, convertito con Legge 102 del 2009 c.d. Lodo Bernardo, modifica tutto l’impianto processuale, incardinando il danno di immagine su 3 punti fermi:
- Le Procure della Corte dei Conti possono iniziare l’attività istruttoria ai fini dell’esercizio dell’azione erariale a fronte di una specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie direttamente sanzionate dalla Legge
- Le Procure della Corte dei Conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e modi previsti dall’art. 7 della Legge 97 del 2001. Tali casi, come indicato, sono costituiti nelle ipotesi in cui il dipendente della P.A. sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno dei delitti di cui al Capo I, Titolo II del Codice penale, cioè quei reati previsti e puniti dagli artt. 314-335 bis c.p. Si tratta esclusivamente di reati propri, cioè reati che possono essere compiuti soltanto con la qualifica di pubblici ufficiali
- Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione di dette disposizioni, salvo che sia già stata pronunciata sentenza anche non definitiva, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei Conti, che decide nel termine perentorio di 30 giorni dal deposito.
Come prevedibile, la riforma del danno all’immagine operata dal Lodo Bernardo ricevette numerose e gravi critiche sia a livello di Dottrina, che di Giurisprudenza contabile.
Riguardo alla possibilità di esercitare l’azione solo in alcune ipotesi fu sollevata una obiezione. Si rilevò, infatti, che l’avvio di una indagine sulla base di una specifica e precisa notizia di danno avrebbe impedito alle procure regionali della Corte dei Conti di attivarsi sui danni erariali in assenza di denuncia fatta dall’Amministrazione che subisce il danno. Si verificherebbe, pertanto, uno svuotamento della funzione del Pubblico Ministero contabile, il cui potere di indagine viene svilito dall’Amministrazione. In breve: il potere di indagine del PM contabile viene limitato e ne viene sostanzialmente ridotto il raggio di azione.
Secondo altri giuristi vi sarebbe di fatto una sorta di conflitto di interesse. Premesso che nell’ipotesi in cui a creare il danno erariale siano i dirigenti nominati da amministratori-politici e stabilito che le denunce per tali danni dovrebbero essere fatte proprio dagli stessi amministratori che hanno scelto e nominato i dirigenti, in sostanza si correrebbe il rischio di una effettiva perdita dell’autonomia di indagine del PM contabile.
Passando poi al settore di applicazione del Lodo Bernardo venne eccepito che sarebbero rimaste fuori ipotesi di condanna definitiva per tipologie di reati ben più gravi (tra le quali la truffa, la circonvenzione di incapace, l’adesione alla criminalità organizzata) di quelle indicate nei soli artt. 314-335 bis c.p., che, nonostante siano in grado di provocare gravi danni all’immagine della P.A., non possono essere perseguiti dalla magistratura contabile. Da tutto ciò deriverebbe un’ immotivata disparità di trattamento tra azioni criminose di scarsa gravità, perseguibili per danno all’immagine, e reati di maggior spessore penale tali da provocare, ancor più, disaffezione e sfiducia nei confronti della macchina amministrativa pubblica.
In un quadro giuridico di questo tipo fu quasi scontato il cambiamento: dalle critiche per irragionevole disparità di trattamento tra azioni criminose si giunse, dopo breve tempo, a sollevare una questione di incostituzionalità per violazione del principio di eguaglianza stabilito dall’art. 3 della Costituzione. A poco più di un anno dalla sua introduzione, infatti, fu sollevata la questione di legittimità costituzionale del Lodo Bernardo.
Nonostante la posizione contraria di parte della Dottrina e della Giurisprudenza, il c.d. Lodo Bernardo però ha resistito al giudizio di costituzionalità a seguito della “storica” sentenza della Corte Costituzionale n. 355 del 2010.
La Corte Costituzionale, infatti, con tale sentenza ha ritenuto costituzionalmente legittimo il Lodo Bernardo. Con essa viene considerata pienamente legittima la scelta arbitraria effettuata dal Legislatore in merito alla limitazione alla risarcibilità ai soli danni che scaturiscono da una ristretta serie di reati accertati con sentenza di condanna definitiva.
In sostanza la Corte Costituzionale, richiamando la “peculiarità del diritto all’immagine della P.A.” , ha ritenuto corretta la scelta del Legislatore di prevedere il risarcimento del danno sempre e soltanto in presenza di quelle condotte che integrano ipotesi di reato ben definite, in grado di tutelare il buon andamento e l’imparzialità della macchina amministrativa.
Secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, infatti, rientra nei poteri del Legislatore quello di definire l’ambito di rilevanza delle condotte perseguibili, se rispetta il limite della non manifesta irragionevolezza ed arbitrarietà della scelta. Pertanto la scelta di non estendere l’azione risarcitoria anche in presenza di condotte non costituenti reato, ovvero costituenti un reato diverso da quelli espressamente previsti, non è irragionevole né tanto meno degna di censura.
La Corte così lo ribadisce: “In altri termini, la circostanza che il Legislatore abbia inteso individuare esclusivamente quei reati che contemplano la pubblica amministrazione quale soggetto passivo concorre a rendere non manifestamente irragionevole la scelta legislativa in esame”.
Ma l’evoluzione giuridica del danno di immagine non finisce qui. Le divergenze alla ratio del Lodo Bernardo si traducono nel mutamento del quadro normativo e l’introduzione del Nuovo Codice di Giustizia Contabile emanato con Decreto Legislativo n.174 del 2016.
Il Nuovo Codice di Giustizia Contabile modifica notevolmente il tessuto normativo degli ambiti di applicabilità: con l’art. 4 “Abrogazioni” lettera g) dell’allegato 3, dispone l’abrogazione dell’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97 e con la lettera h) l’abrogazione del primo periodo dell’articolo 17, comma 30-ter, del Decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.
Il risarcimento del danno di immagine, di conseguenza, viene sganciato dalle sentenze di condanna definitive su un elenco tassativo di reati. In altri termini scompare la tassatività delle ipotesi, oggetto di così numerose discussioni e critiche, per promuovere l’azione di responsabilità per danno all’immagine.
Con l’abrogazione dell’art. 7 della Legge 97 del 2001 a cui faceva riferimento il Lodo Bernardo, viene meno uno dei limiti fondamentali previsti dal Legislatore nel 2009: la contestazione e l’azione per il risarcimento di danno all’immagine non è più soggetto al vincolo della commissione di reati propri, ma può essere esperita per qualsiasi forma di reato, a patto che ovviamente vi sia una sentenza di condanna passata in giudicato.
Dalla ratio riduttiva del Lodo Bernardo si passa, in virtù del Nuovo Codice di Giustizia Contabile, alla dilatazione della tutela del danno all’immagine. Paradossalmente si passa da una situazione giuridica nella quale le procure contabili potevano esercitare l’azione per il risarcimento del danno all’immagine alla Pubblica Amministrazione nelle sole ipotesi tassativamente previste dal legislatore, alla nuova situazione giuridica introdotta dal Nuovo Codice di Giustizia Contabile: in tale situazione viene meno la tassatività delle ipotesi per promuovere l’azione di responsabilità del danno di immagine.
Espunto dall’Ordinamento l’art. 7 della Legge 97/2001, e conseguentemente il relativo richiamo ai casi tassativi in cui è possibile esercitare l’azione di risarcimento per danno di immagine alla P.A., saremmo portati a credere che non esistano più problemi, ma così non è.
All’indomani dell’emanazione del Codice di Giustizia Contabile, infatti, si registrano alcune interessanti sentenze tra le quali, in particolare, la sentenza della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Lombardia n. 201 del 2016 e la sentenza della Corte dei Conti sezione giurisdizionale Emilia Romagna n. 73 del 2017.
La Corte dei Conti sezione giurisdizionale Lombardia, dopo una precisa ricostruzione delle abrogazioni effettuate dal nuovo Codice di Giustizia Contabile sul risarcimento del danno all’immagine, ne indica i presupposti e sottolinea la conseguente necessità di individuare, in sede interpretativa, la relativa disciplina.
Il giudice ritiene che il danno all’immagine non possa che essere compreso che nel danno erariale (al quale fa univoco riferimento anche l’art. 51 del d.lgs. n. 174 del 2016) e, conseguentemente, che l’azione risarcitoria per il danno all’immagine prevista dall’art. 51 comma 6 del Codice può essere esercitata “qualsiasi delitto commesso da pubblici dipendenti (o da soggetti legati da rapporto di servizio alla p.a.) in danno della P.A., accertato con sentenza penale definitiva”.
Ad oggi, alla luce dell’abrogazione del Lodo Bernardo e dell’art. 7 della Legge n. 97 del 2001, in mancanza di ulteriori specificazioni normative i presupposti di proponibilità della domanda di risarcimento del danno di immagine sono indicati dall’art. 51 comma 7 del Nuovo Codice di Giustizia Contabile secondo il quale: “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei Conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.
Secondo la Corte lombarda, pertanto, dopo la novella del Decreto Legislativo n. 174 del 2016, qualsiasi delitto commesso da soggetti con rapporto di servizio nella Pubblica Amministrazione o pubblici dipendenti in danno della P.A., accertato con sentenza penale definitiva, è idoneo a configurare, senza alcuna limitazione tipologica di cui all’abrogato art. 7 della Legge n. 97/2001, il presupposto per l’eventuale promovimento dell’azione risarcitoria per il danno all’immagine previsto dal comma 6 dell’art. 51 del Codice Contabile.
Da rilevare l’importanza anche della sentenza della sezione giurisdizionale dell’Emilia Romagna, che individua i casi in cui può essere richiesto il risarcimento per danno all’immagine.
Secondo la Corte requisiti necessari sono la sussistenza di una sentenza pronunciata dal giudice ordinario passata in giudicato e il fatto che la medesima abbia ad oggetto qualsiasi reato commesso ai danni della P.A., comprendendovi anche i reati comuni non previsti dal Lodo Bernardo.
Tutto quanto è emerso in ambito giudiziale è stato poi ribadito dal Presidente della Corte dei Conti nella relazione sull’attività svolta nell’anno 2016 nella quale ha voluto indicare dettagliatamente l’ambito oggettivo di applicazione della fattispecie del danno all’immagine.
In tale relazione si configurano con chiarezza tre ipotesi di responsabilità di cui due tipizzate e una di carattere generico.
- La prima fattispecie è quella relativa al lavoratore dipendente che attesti falsamente la propria presenza in servizio, ricorrendo all’alterazione dei sistemi di rilevamento o ad altre modalità fraudolente, ovvero qualora giustifichi l’assenza dal servizio mediante una certificazione falsa o comunque che attesti falsamente uno stato di malattia
- la seconda fattispecie si riferisce alla violazione degli obblighi di pubblicità e trasparenza previsti dalla normativa vigente e al rifiuto, al differimento e alla limitazione dell’accesso civico, salve le eccezioni espressamente previste dal Legislatore
- la terza fattispecie avente carattere più generale, che verrebbe integrata in presenza di una sentenza penale passata in giudicato, che abbia ad oggetto tutti i casi in cui la P.A. sia soggetto passivo di un qualsiasi reato, anche di tipo comune.
In conclusione, cercando di fare una sintesi sul Tema, rileva come ad oggi la materia del danno all’immagine sia ancora lontana da una chiara e condivisa interpretazione. A conferma di ciò basti ricordare che nel 2019 la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi due volte su casi relativi al danno di immagine.
In sintesi, se con il Lodo Bernardo il problema consisteva nell’avere un perimetro esiguo nel quale individuare le ipotesi di reati per i quali richiedere, in caso di sentenza di condanna passata in giudicato, una azione di risarcimento per danno di immagine della P.A., con il Codice di Giustizia Contabile le criticità non sono venute certo meno. Il vero problema, infatti, consiste nel cercare di individuare quando e quali siano i casi specifici nei quali si possa proporre la domanda senza scivolare in una visione panpenalistica.