di Alessandro Giugni
Giovedì 24 marzo il Consiglio Europeo si riunirà al fine di definire i contenuti del quinto pacchetto di sanzioni contro la Russia come conseguenza dell’invasione da parte di quest’ultima dell’Ucraina. La misura che più d’ogni altra è al centro del dibattito tra i leader europei è sicuramente quella relativa al possibile embargo sul petrolio russo.
Con riferimento a detto tema, il Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea si è letteralmente spaccato in due. Da un lato, vi sono Paesi come la Repubblica Ceca, la Slovacchia, l’Irlanda, la Romania e la Lituania che ritengono più che mai necessario dare un colpo netto all’economia russa rinunciando in toto all’importazione del petrolio di Mosca, considerando essi relativamente semplice rimpiazzare il greggio che inevitabilmente verrebbe a mancare all’UE. Dall’altro lato, invece, vi sono Paesi come la Germania che hanno assunto un atteggiamento maggiormente prudente, ritenendo indispensabile valutare con estrema attenzione quali sarebbero le reali ripercussioni di una simile decisione sull’economia europea, tanto più in un momento nel quale i prezzi dell’energia in Europa sono ai massimi storici.
Per comprendere le ragioni che stanno spingendo l’Unione Europea ad assumere quella che sarebbe una decisione senza precedenti, si rende opportuno riportare al lettore l’esito di uno studio condotto dall’organizzazione non governativa Transport & Environment (clicca qui per visualizzarne la versione integrale). Da predetto studio è emerso che, dopo il crollo delle vendite del greggio avvenuto nel 2020 a causa dello scoppio della pandemia, nel 2021 la Russia ha incassato oltre 180 miliardi di dollari dalla vendita del petrolio. Non solo. Analizzando il grafico elaborato dalla ong, è possibile ravvisare come il valore delle importazioni europee di petrolio dalla Russia sia direttamente proporzionale all’andamento della spesa del Cremlino per la difesa. In conclusione, secondo l’ong Transport & Environment è possibile affermare che il budget a disposizione della Difesa di Mosca sia strettamente correlato alla vendita del petrolio e che la Russia abbia potuto fare fronte alle recenti sanzioni, nonché perseverare nell’avanzata in Ucraina, proprio grazie al flusso di liquidità che le perviene dall’esportazione di petrolio in UE.
Se, dunque, l’embargo sul petrolio russo appare come l’extrema ratio per convincere Mosca a desistere dall’avanzata in Ucraina, è altresì indispensabile che tale intervento venga valutato con ogni cautela e non vengano assunte decisioni sull’onda dell’emotività, considerando che un simile provvedimento scatenerebbe con ogni probabilità forti tensioni sul mercato globale del petrolio (non a caso nella giornata di ieri si è parlato di un possibile aumento del prezzo del barile fino a $.300), finendo per rivelarsi un’arma a doppio taglio che potrebbe danneggiare i cittadini europei molto più di quanto possa effettivamente danneggiare la Russia.