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sabato, 23 Novembre, 2024

IL BUSINESS DEI SINDACATI. Milioni di euro sprecati prelevandoli dalle tasche dei lavoratori

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Siamo tutti qui a dibattere su che cosa sia necessario cambiare per poter governare decentemente l’Italia. 
Ecco allora che, sia in Parlamento, sia tra molte persone che intervengono sui siti “social”, si accendono dibattiti sul miglior sistema elettorale da applicare in Italia. 
I più avveduti, inoltre, sostengono che di per sé un sistema di voto non può rendere governabile un Paese, in quanto è normalmente funzione dell’architettura politico-amministrativa di una Nazione e conseguentemente non si può prescindere da questa per decidere l’altra, pena il fallimento. 
(Questo per dire che se non cambieremo la Costituzione, anche la prossima legge elettorale risulterà prima o poi fallimentare e verrà ancora cambiata) .
Altri se la prendono con la casta dei politici, che godono di grandi privilegi e altri ancora con chi ha pensioni molto elevate.

1In realtà, anche se tutto quanto sopra sono fattori importanti e veritieri, non sono di per sé gli unici determinanti per la governabilità dell’Italia ed il miglioramento delle condizioni di vita, se si trascurano altri due fattori: i Sindacati e la Pubblica Amministrazione. Oggi affrontiamo il tema dei Sindacati, che con la loro azione hanno contribuito a bloccare lo sviluppo del Paese negli ultimi trent’anni, come minimo. I Sindacati, nonostante quanto determinato dalla nostra Costituzione all’articolo 39, non hanno ancora personalità giuridica che dovrebbe concretamente realizzarsi tramite registrazione, ma sono enti di fatto, quindi mere associazioni non riconosciute.
Ci pare quindi chiaro che la prima anomalia da risolvere sarebbe proprio questa.
 Questo perché comporterebbe tra l’altro, come conseguenza, l’obbligo di pubblicazione dei bilanci, che ora sono assai nebulosi.

In pratica, non si sa con chiarezza dove i Sindacati prendano i soldi e, soprattutto, come li spendano.
Ci pare quindi chiaro che se si vuole governare il Paese, è necessario riportare i Sindacati nel loro alveo originario, che deve essere la tutela dei lavoratori e quindi da essi debbano prendere il necessario per sostentarsi. Invece oggi non è così, senza contare che fare carriera in un sindacato significa prendere un binario parallelo a quello del partito di riferimento, (altra anomalia, secondo noi), snaturando quindi la funzione di queste organizzazioni e l’esempio più recente di questo, è stata la nomina a segretario del P.D. di Epifani, noto sindacalista. Non solo, ma non si capisce per quale ragione un sindacato dei lavoratori abbia tra i suoi iscritti chi non lavora più, i pensionati, che sono, infatti su 5.712.642 di scritti, circa 2,5 milioni. Anche questa è una stortura cui porre rimedio, anche perché, su questi numeri, si basa poi la rappresentatività nelle trattative con le controparti. Non finisce però qui.

2I Sindacati si finanziano infatti anche in altri modi che non siano le semplici tessere di lavoratori che vogliono aderirvi. 
Secondo noi, invece, riteniamo che questo dovrebbe essere l’unica via corretta, in quanto dovrebbero cercare aderenti sul mercato e, naturalmente, solo i più capaci si perseguire gli interessi dei lavoratori potrebbero continuare ad esistere. Tra i vari rivoli o fiumi attraverso i quali i Sindacati si reggono economicamente, vi sono per esempio le “quote di assistenza contrattuale”.
In che cosa consistono? 
Presenti in molti dei 400 contratti stipulati dai Sindacati nazionali, (vedere il sito Cnel per l’elenco), sono quote straordinarie che vengono prelevate da Sindacati e da datori di lavoro dalla busta paga dei lavoratori NON iscritti al Sindacato a titolo di premio per aver concluso un contratto. 
Interpretare una busta paga non è semplice e non ci si fa caso, ma al lato pratico, tanto per fare un esempio, significa che la chiusura dell’ultimo contratto nazionale dei metalmeccanici ha portato nelle casse di Fim e Uilm € 30 per lavoratore e trattandosi di ca. 1 milione di lavoratori; si può comprendere l’entità delle cifre in gioco.
 Un altro esempio è la chiusura del contratto del Commercio e del Terziario, dove il solo Filcams (C.G.I.L.) ha iscritto in bilancio 2,15 milioni che vanno moltiplicati per tre (cioè anche per Cisl e Uil) e poi per due (la parte datoriale). Il totale, quindi, è di circa 15 milioni di euro usciti dalle tasche dei lavoratori. 

Se si fanno delle verifiche, quando ciò sia possibile, si scopre che le entrate da tesseramento per i Sindacati non rappresentano la voce primaria. Nel bilancio del citato Filcams, nel 2010, le entrate da tesseramento sono state di 1,7 milioni di euro, mentre le quote di assistenza contrattuale sono ammontate a 2,15 milioni. Domanda: sono obbligatorie queste fazioni? No, ma nessuno lo sa. Infatti, vengono prelevati dalla vista paga in quanto esiste la formula del silenzio-assenso e quindi se un lavoratore non mette per iscritto il suo rifiuto, si vedrà alleggerire il proprio stipendio.
 E’ chiaro che questo non sia corretto ed è una cosa su cui bisognerebbe intervenire. A questa voce, si mischia spesso un’altra che consiste negli Enti bilaterali. 
Questi sono Enti istituiti con la legge 30/2003 e regolamentati dai contratti nazionali e/o territoriali e sono stati concepiti per offrire ai lavoratori prestazioni e servizi per la formazione professionale o un sostegno al reddito.
Anche qui qualche numero. Questi Enti percepiscono dai lavoratori, spesso ignari, una percentuale sulla retribuzione dei medesimi che va da uno 0,3-0,5% sino in alcuni casi 1%. 
Se si fa una media di €/anno/lavoratore 50,00 e se si considera che sono diversi milioni coloro che vi contribuiscono, è chiaro che siano cifre consistenti. 
Il solito Filcams, sempre nel 2010, ha incassato, per i soli gettoni di presenza in questi enti , 685 mila euro. Quindi, si deduce che per questo Sindacato i proventi da tesseramento rappresentano solo il 37% delle entrate complessive.

3Questi Enti bilaterali sono anche molto numerosi: nel settore Commercio e Servizi sono ca. 200, di cui una ventina nazionali e 194 tra regionali e provinciali.
 Consideriamo che questi sono solo una piccola parte, in quanto esistono anche per le molte categorie contrattuali. 
Possiamo avere un’idea della galassia che ci sta dietro, e della consistenza del business.
inoltre, vi è il non piccolo vantaggio che questi danari non hanno l’obbligo di rendiconto, né sono sottoposti ad alcun controllo particolare. Questo in quanto questi Enti sono di supporto ad una attività pubblicistica, ma sono sottoposti alle leggi del diritto privato. Naturalmente, tutti questi enti hanno i loro bravi responsabili che percepiscono per ciò un compenso che, nel caso delle presidenze, possono arrivare a valori tutt’altro che disprezzabili, anche € 70 mila all’anno.
Uno studio del già citato Filcams, rilevava che in genere solo il 50% dei contributi ricevuti dai singoli Enti vengono destinati dagli stessi a favore dei lavoratori o delle aziende. I resto viene fagocitato per farli funzionare.

Inoltre, non vi sono divieti sull’accumulo di cariche. Avviene quindi che il Presidente Enasarco, l’Ente previdenziale degli agenti di commercio, percepisca un’ottimo emolumento per la sua carica lì, ma poi sia anche segretario del sindacato del Commercio, Turismo e Servizi, UilTucs. Ovviamente, non svolgerà questa seconda mansione pro bono. Anche in questo caso, essendo questi Enti frutto di accordi bilaterali tra le parti, impegnano solo loro. 
Conseguentemente dovrebbe essere un onere imposto esclusivamente a chi è iscritto ad un sindacato di categoria, sia esso un lavoratore o una azienda. 
Così non è ed anche qui il lavoratore o l’impresa dovrebbero, per poter evitare l’obolo, tentare la strada di esplicitare la loro volontà di non contribuire, sperando che venga accolta.
La festa per i Sindacati non termina qui, naturalmente. 
Non vanno dimenticati che ci sono i famosi C.A.F., gestiti per lo più da C.G.I.L., C.I.S.L. e U.I.L., che percepiscono € 170 milioni per le convenzioni, più i soldi che lo Stato riconosce loro, in misura di € 14 per ogni singola dichiarazione dei redditi e e 26 per quelle congiunte. Senza contare che, tra il detto e non detto, subordinano il servizio ad una iscrizione al Sindacato.

Che dire po4i dei 113 milioni di euro di costo dei 2.000 distacchi sindacali o dei 330 milioni trasferiti dagli Istituti Previdenziali ai Patronati Nazionali? Sorge spontanea un domanda: tutti giustamente ci preoccupiamo dei costi della politica, ma perché non preoccuparci anche di questi costi, che, per contiguità ai partiti politici dei Sindacati e per il fatto che essi in Italia sono un trampolino di lancio per i suoi esponenti per entrare poi in politica, si possono di fatto ascrivere tra i costi impropri della medesima? Perché non sgravare lavoratori ed aziende da questi fardelli, forse, almeno in parte, illegittimi? Perché non limitare i sindacati in ciò che non è loro stretta competenza, in modo che si concentrino sul loro core business senza gravare sulla collettività? Alla fine, considerato tutto, si tratta di cifre anche superiori al costo della politica vera e propria che fanno dei Sindacati una invadente macchina da business.

La Critica

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