di Alessandro Giugni
A quattro mesi dall’avvio della campagna vaccinale contro il Covid-19 emergono alcuni preoccupanti dati con riferimento alla volontà da parte dei cittadini italiani di sottoporsi alla vaccinazione. Un sondaggio condotto dal Corriere della Sera, pubblicato sul quotidiano nazionale il 17 aprile 2021, evidenzia come il 20% degli intervistati non sia sicuro di volersi vaccinare o preferirebbe valutare quale vaccino fare tra quelli disponibili e come il 12% abbia manifestato la netta volontà di rifiutare il vaccino. Rapportando il risultato di questo sondaggio alla popolazione italiana complessivamente considerata, si può notare come 19.200.000 abitanti nutrano forti dubbi circa l’efficacia e la sicurezza dei vaccini attualmente disponibili. Quali sono le radici di una sfiducia tanto diffusa?
Tre sono le principali cause di questo fenomeno.
In primo luogo, è opportuno ricordare come il nostro Paese registri uno dei tassi di istruzione più bassi d’Europa: secondo i più recenti rapporti Istat la quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore è pari al 62,2%, un valore drammaticamente inferiore a quello registrato mediamente nei paesi europei (78,7%).
In secundis, un ruolo determinante è da attribuire alle modalità comunicative degli organi di informazione. Un esempio recente riguarda i casi di trombosi causati dal vaccino J&J, che in meno di 24 ore è stato approvato dagli enti regolatori, somministrato a 7mln di persone e sospeso “in attesa di ulteriori verifiche”. Giornali e telegiornali hanno più volte rimarcato il numero di casi di trombosi (6) senza mai, però, fare alcun riferimento al numero di dosi di esso complessivamente somministrate. Un’analisi oggettiva avrebbe dato risalto al fatto che solo in una bassissima percentuale di casi il vaccino J&J aveva avuto ripercussioni gravi (0,000085%). È evidente come il ruolo dell’informazione, in un contesto come quello che stiamo vivendo, sia cruciale per la riuscita della campagna vaccinale e per il conseguente ritorno alla normalità.
Infine, una pesante responsabilità grava sulle agenzie regolatorie, in particolare sull’AIFA. Con riferimento alle fasce di età alle quali inoculare il vaccino AstraZeneca, infatti, l’AIFA si è resa responsabile di repentini mutamenti di opinione: il 30 gennaio dava l’ok per l’inoculazione tra i 18 e i 55 anni; il 7 marzo inviava una nota al Ministro Speranza affermando che il vaccino in questione potesse essere utilizzato senza limiti di età; il 15 marzo ne sospendeva l’inoculazione per sospetti casi di trombosi, rimettendo la decisione finale all’EMA; il 7 aprile inviava una nota al CTS sconsigliando l’uso di AstraZeneca sotto i 60 anni di età.
Una tale confusione non può che creare sfiducia.