di Stefano Sannino
Dall’avvento dei social network ad oggi, la società umana ha subito un considerevole cambiamento di paradigma, di cui varrebbe la pena parlare.
In realtà, di questi mutamenti intrinsechi al nostro tessuto sociale ed anche alla nostra interiorità se ne è parlato fino a qualche anno fa, ma ora pare che l’abitudine alla <> ed alla ricerca di attenzione sia diventata così banale, da farci perdere ogni interesse nella discussione.
I social network sono strumenti fantastici: ci permettono di leggere notizie, condividere momenti per noi importanti, pubblicizzare le nostre aziende e anche lavorare in modo autonomo. Con i social ormai facciamo tutto: ci manteniamo in contatto con gli amici, postiamo le foto delle nostre vacanze e dei nostri pasti, condividiamo musica e stati d’animo.
Ma ci siamo mai soffermati a chiederci cosa questa estrema condivisione comporta per noi?
Forse molti lettori risponderanno di sì, ma sono sicuro che molte implicazioni di questa mercificazione della nostra vita, saltino poco all’occhio degli utilizzatori medi dei social.
Innanzitutto abbiamo proprio il problema della mercificazione. Attraverso la condivisione, mercifichiamo in modo estremo e senza mezzi termini, ogni aspetto della nostra vita. Dal lavoro, alla sfera privata, dall’amore ai momenti tristi. Tutto questo viene condiviso, spesso non per il bisogno di gridare al mondo ciò che si fa, quanto piuttosto per il bisogno incondizionato di ricevere l’attenzione e l’approvazione degli altri attraverso i “likes”. Ecco allora perché parlo di mercificazione: il ricordo o il momento fissato nella fotografia o nello stato non viene condiviso liberamente, ma viene condiviso per ricevere una retribuzione digitale, che sono appunto i “mi piace”. Questo sistema di do ut des, è alla base di ogni commercio, rendendo di fatto il semplice atto del postare, un’azione commerciale in cui si mercifica ciò che noi postiamo.
Ecco quindi il secondo problema nato con l’avvento dei social network: il bisogno di accettazione.
Non che prima non ci fosse, non mi fraintendete, ma è innegabile che dall’avvento dei social, tale bisogno si sia evoluto in nuove forme, aggravandosi. Se prima infatti ci si vestiva o ci si comportava in un certo modo per sentirsi approvati dall’ambito sociale in cui si era inseriti, ora tutto questo non riguarda più soltanto la superficie delle nostre persone, ma anche l’interiorità. Condividiamo tutti lo stesso tipo di musica, vestiamo tutti con i loghi bene in vista per trasmettere un benessere economico, usciamo e ci divertiamo per far vedere che siamo in grado di socializzare e di divertirci.
Il problema, non sono i social network, il problema è il modo in cui l’80% delle persone li utilizza. Perché ormai, sui social, non si condividono più spezzoni reali della nostra vita da mostrare agli altri, quanto piuttosto si creano momenti nella vita reale così da fotografarli e postarli. Insomma, è evidente che il processo si sia invertito. E questa inversione rende tutto più finto, più artefatto, più costruito ed è proprio in virtù di questa inversione di paradigma in cui si creano momenti per postarli e non si postano momenti vissuti, che non ci si può più fidare di ciò che si vede sui social. Il problema di questa finzione, non è tanto però il non potersi fidare degli altri, quanto piuttosto il fatto che si assume che questa finzione sia vera. Quante volte, ci è capitato di scorrere la bacheca Instagram e dire: “Quanto vorrei la vita di X, perché è ricco/sempre in vacanza/felice?”
Ad alcuni lettori forse non è mai successo, ma tra i giovani questo è un pensiero ricorrente.
Dunque, sono proprio le nuove generazioni, quelle nate a contatto con i social e che passano sui social gran parte del loro tempo, ad essere vittima di insicurezza, invidia e anche depressione sia in forme lievi che più gravi.
Con questo articolo non voglio muovere una critica ai social, che ormai sono cristallizzati nel nostro tessuto sociale e che anche io uso quotidianamente, ma voglio lanciare un messaggio a tutti quelli che si mostrano felici online e poi piangono da soli guardando le vite perfette degli altri: anche loro mentono. Mentiamo tutti. I social sono una fabbrica di finzione e di ipocrisia. Non dimenticatevi che la vita reale sta fuori e la felicità non si basa certo sul numero di followers o di likes.