di Alessandro Giugni
«Bisogna trovare modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione […] andando avanti la pandemia o in futuri disastri per la salute, bisognerà trovare un sistema che dosi dall’alto l’informazione. […] Questo compito dovrà essere svolto da un governo ispirato e istruito dalle autorità sanitarie».
Le parole qui sopra riportate parrebbero essere tratte da un romanzo o un film inscenanti una realtà distopica; invece sono state pronunciate da Mario Monti in diretta televisiva su La7. Quello che qui interessa, però, non è esprimere un giudizio sull’opportunità o meno che frasi di questo tipo provengano da un ex Presidente del Consiglio, quanto stimolare il lettore a riflettere sul peso e sul significato che esse sottendono.
L’esternazione di Monti, se inscritta e considerata in ragione del periodo storico e dei mutamenti sociali che stiamo vivendo da due anni a questa parte, manifestamente attesta una prepotente riaffermazione dello scientismo nei salotti dei palazzi delle Istituzioni. È opportuno fare una precisazione storica ai fini di una più agevole comprensione di quanto seguirà.
Quando si parla di scientismo, termine coniato nel XIX Secolo in Francia, si fa riferimento alla definizione che di esso fu elaborata da Étienne-Émile-Marie Boutroux, noto filosofo francese: esso si sostanzia in un rigido dogmatismo scaturente dall’estensione al mondo umano di un esasperato determinismo positivistico e dell’affermazione della necessità di fare sempre e comunque riferimento alle leggi naturali. Alla luce della definizione di Boutrox, rileggendo le parole di Monti e ripensando tanto alle modalità comunicative quanto ai contenuti con i quali i media ci stanno bombardando da 24 mesi, diviene operazione semplice comprendere come oggi sia in atto un processo di affermazione dell’atteggiamento scientista, intendendosi con esso una (indebita) estensione della scienza e del “metodo scientifico” a ogni aspetto del nostro quotidiano, della nostra realtà.
Se apparentemente quanto poc’anzi esposto potrebbe sembrare ai più un mero esercizio di stile o un’osservazione circa un fenomeno che ben poca attinenza può avere col nostro quotidiano, in realtà tale fenomeno ha già avuto pesanti ripercussioni (e rischia di continuare ad averne fino a un punto di non ritorno, se non arginato in tempo) sulla nostra vita, sul nostro essere cittadini, sul nostro essere uomini liberi.
La prima conseguenza dello strisciante ritorno dello scientismo è sotto gli occhi di tutti: a oggi risulta impossibile mettere in dubbio qualsivoglia affermazione proveniente dal mondo scientifico senza essere stigmatizzati con i più disparati titoli (no-vax, no-pass, tra poco bi-vax o tri-vax), categorie queste create ad arte dagli organi di stampa con l’intento di arginare coloro i quali osano contraddire i nuovi vate, ossia quei virologi che sono divenuti parte integrante di ogni trasmissione. La stigmatizzazione si traduce in emarginazione e ciò avviene anche e soprattutto nei confronti di chi sottolinea le palesi contraddizioni nelle quali incappano quella stessa scienza e quegli stessi virologi che vengono additati come portatori dell’unica verità. Un esempio? Prima abbiamo sentito dire che con 2 settimane di lockdown sarebbe finita la pandemia; poi ce ne sono voluti 9; poi è divenuta imprescindibile una dose agli ultra ottantenni, perché solo così si sarebbe usciti dalla pandemia; poi ci è stato detto che questo obiettivo si sarebbe raggiunto con una dose per tutti gli over 40; poi una dose per tutti; poi due dosi per gli over 12; ora paiono quanto mai necessarie tre dosi per tutti, ma «tranquillizziamo gli scettici, con la terza si è protetti per 5/10 anni», salvo poi che due giorni dopo viene detto che servirà un aggiornamento dopo neanche 100 giorni dall’ultima somministrazione. E se al cittadino dubitante non viene dato diritto di dubbio, pena divenire no-vax, al virologo errante viene concesso di uscirne sempre con un «Non potevamo saperlo» (cit. Ilaria Capua).
In secundis, stiamo assistendo allo stravolgimento delle basi della scienza moderna. Non si procede più, infatti, seguendo le fasi del metodo induttivo e deduttivo, non esiste più la formulazione di teorie che possano essere confutate; oggi si procede per assiomi, incontestabili verità affermate dalla scienza che restano tali fino a quando la realtà dei fatti dimostra che quella così tanto acclamata verità così vera non è. Ecco, dunque, che il vate di turno, con arrogante tracotanza, fa la sua comparsata in televisione affermando un nuovo, incontestabile assioma, una verità che più vera di così non si può e, al contempo, puntando il dito contro gli spettatori e accusandoli di non aver ben compreso le precedenti affermazioni. Non sia mai che a qualcuno sorgano dei dubbi.
Quanto sopra ci porta dritti alla conclusione di questa riflessione. Questo continuo, estenuante, bombardamento di assiomi e verità inconfutabili al quale siamo esposti dalla nuova religione scientista sta lentamente, ma progressivamente, portando gli individui che compongono la nostra società ad abbandonare la ragione in favore della sottomissione al dogmatismo scientifico, stiamo assumendo a piccole gocce un veleno che ci porterà inesorabilmente a perdere la capacità di porci delle domande, finendo per accettare qualsiasi cosa ci venga calata dall’alto. La prima conseguenza di questo atteggiamento passivo l’abbiamo sotto gli occhi: da 24 mesi si susseguono DPCM, D.Lgs, D.L. che si contraddicono gli uni con gli altri e che ci hanno esposto a un mutamento continuo delle regole di quella che consideriamo “società civile”, venendoci, dunque, chiesto un adattamento a nuove norme senza domandarci se esse siano giuste o sbagliate. Immanuel Kant sosteneva che la fonte della legge fosse la ragione. Egli individuava nella morale e nella ragione del singolo, che devono necessariamente sottrarsi a ogni forma di condizionamento, la luce che deve illuminare il nostro cammino. Se perdiamo la ragione, diveniamo non solo incapaci di discernere tra bene e male, tra giusto e sbagliato, ma cessiamo di esistere in quanto uomini dotati di pensiero critico. Non cogito ergo non sum.