di Gabriele Rizza
La ripartenza scolastica sta assumendo sempre più risvolti comici nella sua tragicità, sulle spalle di insegnanti e studenti. Non finiscono mai gli aspetti da analizzare di questa grottesca vicenda tutta italiana. Lasciamo da parte le migliaia di precari, le cattedre vacanti, l’inadeguatezza della DaD, le gaffe del ministro Lucia Azzolina e sediamoci metaforicamente sui banchi singoli con le rotelle, andando oltre la loro presunta essenzialità nella didattica. Dove verranno prodotti? Il commissario Domenico Arcuri ha spiegato che è stato indetto un bando internazionale per soddisfare la richiesta di un numero ancora indefinito di banchi, “fino” a 3 milioni, di cui la metà singoli con le rotelle, in plastica e capaci di numeri acrobatici circensi. Arcuri ha inoltre spiegato che il bando è internazionale perché i produttori nazionali non sono in grado di poter soddisfare, da qui a cinque settimane, una richiesta così vasta; eppure, in un anno in cui il PIL rischia di registrare un catastrofico -17%, poter produrre questi beni di “prima necessità” in Italia sarebbe stato un segnale mediaticamente incoraggiante, oltre che un concreto aiuto agli operai e agli imprenditori locali. Non possiamo dare certo la colpa a questo governo o ad un singolo governo per questa fattispecie, ma si può sottolineare per l’ennesima volta la colpa di tutta la classe dirigente che, negli ultimi decenni, non ha investito un euro nell’edilizia e negli arredi scolastici, pensando solo a sperperare fondi europei per le “utilissime” lavagne digitali collocate in aule pollaio, malsane e letteralmente decadenti.
Se negli ultimi anni qualcuno si fosse occupato di rinnovare anche solo lentamente ma con costanza gli edifici scolastici, i produttori avrebbero avuto una capacità produttiva superiore, maggiori capacità di investimento e più occupazione. Invece, in questo Paese, come al solito, siamo sempre allo stesso punto: ci accorgiamo di cosa manca solo quando ci occorre per sopravvivere e allora via alla spesa come se fossimo ai saldi (ma non siamo ai saldi) di prodotti fabbricati in altri continenti o paesi europei, gli unici a farlo.
La questione non è sovranista o becero-nazionale, piuttosto si tratta di strategie, di capire cosa è essenziale per una comunità, a cosa non si può rinunciare e cosa deve essere a disposizione in loco, per tempestività e costanza della fornitura, del costo di trasporto, l’inquinamento e l’occupazione.