24 maggio 2018, Milano.
Giuseppe Conte è stato incaricato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di formare un governo con riserva. Vediamo chi è il prossimo Presidente del Consiglio dei Ministri.
Dopo la bufera mediatica sulle presunte voci inesatte nel curriculum, possiamo comunque dire che si tratta di un profilo competente e con una grande esperienza tecnica (non politica). Dobbiamo inoltre precisare che il Presidente del Consiglio non viene eletto direttamente dal popolo, infatti molti scordano che siamo una repubblica parlamentare e non presidenzialista. Donald Trump è eletto dal Popolo, lo stesso vale per Vladimir Putin. La nostra costituzione infatti recita che è il Presidente della Repubblica a nominare il PdC. Tuttavia c’è un’enorme differenza tra chi ha avuto una legittimazione popolare e chi invece è sorto da un accordo di palazzo. Silvio Berlusconi nel 2008 ha vinto le elezioni. I cittadini avevano votato in maggioranza per la formazione guidata da lui, dal leader del Popolo della Libertà. Possiamo dunque affermare che sicuramente in quel caso il Presidente del Consiglio ha avuto una piena legittimazione popolare. Cosa che non hanno avuto Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni che non si sono presentati alle elezioni come candidati a Palazzo Chigi. Stesso discorso per Giuseppe Conte.
Avvenire in suo recente articolo che vi proponiamo spiega chi ci guiderà (si spera in modo costante) nei prossimi cinque anni:
“Separato e padre di un figlio di dieci anni, l’avvocato vive fra Roma, dove ha lo studio in piazza Cairoli, e Firenze, dov’è titolare della cattedra di Diritto privato. I suoi studenti lo stimano («Spiega bene») e scherzano sul vezzo di ravviarsi un ciuffo di capelli sulla fronte. In politica, prima dell’era grillina, il suo cuore per chi batteva? Chi lo conosce, racconta di simpatie per il Pd e di conoscenze in riva all’Arno, come la collega avvocato Maria Elena Boschi. Lui si è limitato a dire: «In passato ho votato a sinistra. Oggi penso che gli schemi ideologici del ’900 non siano più adeguati. Credo sia più importante valutare l’operato di una forza politica in base a come si posiziona sul rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali. E sulla sua capacità di elaborare programmi utili ai cittadini». Post-ideologico, dunque, ma appassionato. In decenni di alacri studi giuridici e di difese in tribunale, il professor Conte ha costruito un profilo da avvocato e docente in grado di mettere d’accordo tutti. «È uno tosto, che si è fatto da solo», dice ancora Di Maio.
Originario di Volturara Appula, borgo di 467 anime in provincia di Foggia dov’è nato 54 anni fa, il piccolo Giuseppe «amava lo studio, era un bambino prodigio, intelligente, serio, riservato, sempre garbato», racconta Vittorina Macchiarola, maestra e collega di sua mamma, Lillina Roberti. Il papà, Nicola Conte, fa il segretario comunale e con la famiglia deve spostarsi a San Giovanni Rotondo. I coniugi hanno due figli, Maria Pia e il piccolo Giuseppe, «che a scuola prendeva tutti 10». Una famiglia che i conoscenti descrivono come «riservata» e «molto religiosa». Un amico, Antonio Placentino, riferisce della sua fede («Andava spesso al santuario di Padre Pio») e ne svela un’ulteriore abilità “nazionalpopolare”: «All’epoca io facevo il calciatore e Giuseppe, di tanto in tanto, veniva a giocare con noi. Era un regista, uno alla Fabio Capello, se la cavava abbastanza bene». Ma più che il pallone, al giovane Conte piacciono i libri: «Studiava moltissimo», racconta ancora Placentino.
Dalla Puglia, il giovanotto va a Roma, per frequentare la facoltà di Giurisprudenza della Sapienza. Ne esce nel 1988, con una laurea con 110 e lode e la voglia di spaccare il cavillo in quattro, approfondendo gli studi di diritto. Viene inserito nella commissione per la riforma del Codice civile e ottiene una borsa di studio del Cnr. Poi si perfeziona nei migliori atenei del mondo: dalla statunitense Yale, alla Sorbonne di Parigi fino alla britannica Cambridge. All’università, è fra gli assistenti di un maestro come Guido Alpa. A Villa Nazareth (collegio universitario romano per studenti meritevoli ma con pochi mezzi, presieduto dal cardinale Achille Silvestrini e da monsignor Claudio Maria Celli, dove Conte è membro del Consiglio scientifico), ne parlano con stima: «Ha aiutato i nostri alunni nelle università americane, con la sua perfetta conoscenza dell’inglese – ricorda il professor Carlo Casula –. Non è mai stato arrivista né carrierista, non è arrogante ma dialogante: per un premier è la qualità più importante, la capacità d’ascolto e di dialogo».
Oggi, molte pubblicazioni (la più recente è sulla «formazione del contratto») e concorsi dopo, lo scolaro con tutti dieci è diventato ordinario di Diritto privato a Firenze (materia che insegna anche alla Luiss di Roma), avvocato patrocinante in Cassazione e condirettore della collana Laterza dedicata ai «Maestri del diritto». È componente della commissione cultura di Confindustria e ha fatto parte del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa. Nel 2016 il suo parere si scontrò con quello del presidente del Consiglio di Stato Alessandro Pajno: Conte si oppose all’ingresso, fra i consiglieri di Stato, di Antonella Manzione, 53enne capo degli Affari giuridici di Palazzo Chigi all’epoca del governo Renzi (poi passata per 9 voti a 5). Ancora, ha presieduto la commissione speciale che ha destituito il consigliere Francesco Bellomo (dopo la vicenda dei corsi per aspiranti magistrati con imbarazzanti avances). Al big pentastellato Alfonso Bonafede, il professore piace anche per l’intenzione di «disboscare» le leggi inutili (i cinquestelle vorrebbero abolirne 400) e di «semplificare il quadro normativo, farraginoso, incoerente e a tratti incomprensibile».
Insomma, rispetto ai precedenti, un altro e alto profilo. Tuttavia sappiamo bene che non sarà lui a governare l’Italia, anzi, sarà un semplice funzionario (il “primo” di tutta la Pubblica Amministrazione) esecutore delle scelte politiche dettate da Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Oppure sembrerebbe un amministratore delegato, precisamente della “Salvini-Di Maio Group”. I due azionisti dettano gli obiettivi da raggiungere (il famoso contratto di governo) e l’amministratore esegue insieme ai propri membri del CdA. Una bella metafora, non lontana dalla realtà, Di Maio infatti è abituato a gestire la politica da una Srl. La Casaleggio Associata.
Simone Tavola,
Redazione Milano