di Martina Grandori
È tornata di grande attualità. Inaspettatamente, nel giro di qualche mese da essere dimenticata, è assolutamente la più bramata. Rime a parte, la famigerata villeggiatura in questa estate difficile torna alla ribalta, vive una seconda età d’oro.
Erano decenni che non si sentiva più pronunciare questa parola, sostituita da vacanza, da villaggi turistici.
Vacanza viene dal latino vacare: essere vuoti, liberi, assenti da qualcosa e in fondo quando si va in vacanza ci si vuole liberare da obblighi ed assentarsi dalla città. Una forma di libertà assoluta, la fuga dalle regole e dalla vita ordinaria. Un’assenza di quel caratteristico tempo cittadino ben scandito che assottiglia la distanza temporale fra giorno e notte, che ci aiuta a cancellare, a sfumare quelle abitudini cronometrate del resto dell’anno. Vacanza, in fondo, è sinonimo di cambio di abitudini, gli orari si dilatano, tutto assume un’importanza diversa nel nome di una sospensione temporale che dia sollievo alle menti appesantite dell’inverno.
Villeggiatura è invece tutt’altro. È una vita altrettanto scadenziata, altrettanto ripetitiva, diversa da quella vacanza libera e infedele alle abitudini ma altrettanto preziosa. La villeggiatura nasce dopo la Seconda Guerra Mondiale, siamo nell’Italia del benessere, della voglia di riscatto dopo la guerra. Ai tempi si fa avanti il concetto di un nuovo tempo libero vacanziero, chi lavora ha il diritto alle ferie, retribuite regolarmente come ciascun lavoratore. Negli anni Cinquanta era un mese di villeggiatura, di vita di famiglia nelle case di famiglia al mare o in campagna, magari aggiungendo al clan qualche amico per i figli perché non si annoiassero. Ma è proprio la noia uno degli aspetti della villeggiatura su cui molti hanno scritto ed elaborato pensieri.
Ma perché allora oggi torna di moda la villeggiatura? Semplice: tutti temono gli assembramenti, tutti hanno paura di ritrovarsi rovinate le vacanze da precetti e distanziamenti sociali, tutti hanno paura che quell’idillio di tempo libero e spensierato che è l’estate, venga funestato dai nuovi comportamenti post pandemia. Privacy è la parola d’ordine. La ricerca sul web di spaziose ville con piscina e parco è cresciuta di sei volte rispetto all’anno scorso.
In poche parole la paura del contagio ha fatto rivalutare la villeggiatura, la riluttanza a mischiarsi con gli sconosciuti ha fatto riscoprire quel format che fino a Natale 2019 era etichettato come da vecchi e assai noioso.
Meglio cene all’insegna della privacy in casa propria, sotto un ulivo, con la famiglia e un aperitivo in piscina con Spotify alla console, piuttosto che buttarsi nella calca dei luoghi che in fondo non rispettano fino in fondo le normative precauzionali.
Il denaro, la necessità di salvare la stagione, lo si vede ai Tg, sui giornali o sul web, portano i gestori dei locali, dei ristoranti, degli stabilimenti balneari a chiudere sempre un’occhio in nome del tutto esaurito. E se gli italiani per non rischiare contagi riscoprono il life-style della villeggiatura, anche la moda, ma in realtà già da parecchie stagioni, fa l’occhiolino al guardaroba anni Sessanta.
Abiti crochet, abiti svasati floreali, shorts bon ton, cesti e bikini con reggiseni ben costruiti sono su tutti i giornali. C’è voglia di cose belle e ben fatte nell’armadio per lei, di polo, chinos ed espadrillas per lui che sogna di assomigliare a Gigi Rizzi quando imperava nella St. Tropez di Brigitte Bardot.
Senza dimenticare quanto sia tornato in auge il viaggio in macchina, la station wagon ne è l’icona, un modo per spostarsi con la famiglia e portarsi dietro tutto: valigie, biancheria, giocattoli, ammennicoli vari e chi più ne ha ne aggiunga. In fondo il bello della villeggiatura è anche circondarsi di tutte quelle cose che oggi vengono inquadrate come comfort zone, quelle coccole a cui non si rinuncia più. Tanto più in villeggiatura.