di Fabiola Favilli
Artisti straordinari, artisti rivali. Il ‘600 è stato testimone di guerre spietate che si sono tenute tra i grandi nomi dell’arte, come Gianlorenzo Bernini (1598 – 1680) e Francesco Borromini (1599 – 1667); antitetici per carattere perché spavaldo ed esuberante il primo e malinconico, introverso ed irascibile il secondo.
Bernini era nato a Napoli da padre toscano e visse praticamente tutta la sua vita a Roma, incarnò il personaggio dell’artista poliedrico perché era scultore, pittore, architetto, scenografo e carismatica “star” dei migliori ambienti romani, partendo dal Vaticano.
Francesco Castelli era nato nel canton Ticino ed arrivò a Roma chiamato dal parente Carlo Maderno: lì i documenti lo indicano come “Borromini” perchè forse aveva cambiato nome per devozione verso S.Carlo Borromeo. La sua straordinaria capacità di architetto lo portò ad elaborare geometrie diverse come quadrati e cerchi che si alternavano nelle sequenze, creando nuove e sconcertanti armonie nello scenario romano caratterizzato dai multipli delle proporzioni umane, immagine di quelle divine.
I due grandi artefici del barocco romano avevano perfino collaborato alla realizzazione dell’imponente baldacchino dell’altare maggiore in San Pietro in Vaticano, che tuttavia è passato alla storia come il baldacchino del Bernini; nella Roma di quegli anni c’era un fermento costruttivo straordinario, che offrì ad entrambi la possibilità di esprimere il loro incredibile talento, ma che a causa della loro rivalità e delle peculiarità dei caratteri portò ad un tragico epilogo.
Più il mondano Gianlorenzo otteneva favori, onori e commesse, più Francesco s’incupiva e soffriva a causa dei successi del suo antagonista; il loro conflitto divenne leggendario, tanto che, oltre ai dispetti che i due si riservavano spesso, molti sono stati loro attribuiti dalla fantasia dei loro contemporanei.
I dissapori iniziarono proprio con la costruzione del baldacchino in San Pietro, per il quale Borromini non fù né eleogiato né pagato, ma l’acme fu raggiunto nel 1647 quando fu incaricato del rifacimento di Piazza Navona ma fu battuto sul tempo e forse anche dalla qualità del progetto dal Bernini, che lo surclassò sfruttando la solida rete di potenti conoscenze personali. Bernini realizzò la straordinaria Fontana dei Quattro Fiumi e la leggenda vuole che la personificazione del Nilo, rivolta verso la Chiesa di Sant’Agnese, opera di Borromini, abbia il volto velato per non vedere la facciata; in realtà la chiesa fu realizzata quattro anni più tardi e gli occhi bendati del Nilo simboleggiano il fatto che all’epoca ancora non fosse stata individuata la sua sorgente. Sembra piuttosto che fu Borromini ad esprimere disprezzo per la grande fontana, ponendo sulla facciata della chiese una statua di Sant’Agnese con il volto girato per non doverla guardare. I seguaci di Borromini avevano messo in giro voci poco rassicuranti sulla statica dell’obelisco che orna la fontana, e dopo un gran temporale una folla si era radunata nella piazza per verificare l’effettiva stabilità della complessa architettura; Bernini lo venne a sapere e, serissimo, si recò sul posto, dove fissò con piccoli chiodi agli edifici intorno quattro fili di lana che aveva annodato all’obelisco. Ostentò quindi soddisfazione e sollievo per aver messo in sicurezza la sua opera, e si beffò così con grande ironia ed eleganza dei suoi detrattori.
Un precedente fu nel 1626, quando a Bernini fu commissionato l’ampliamento del Palazzo della Propaganda Fide in Piazza Mignanelli; morto il suo grande estimatore Papa Urbano VIII, il successore Papa Innocenzo X incaricò dell’opera Borromini. Bernini viveva in una casa attigua all’erigendo palazzo, ed i due approfittarono per farsi sberleffi utilizzando le loro doti artistiche: sulla costruzione voluta dai papi furono scolpite due orecchie d’asino all’indirizzo del Bernini, che per tutta risposta scolpì su una mensola del proprio edificio un fallo gigante che puntava verso il cantiere di Borromini. Lo sconcerto fu notevole, ed essendo le due opere ben visibili dalla pubblica via, ne fu chiesta la rimozione per decenza.
Francesco Borromini non resse allo stress della ricerca dei committenti, della stesura dei suoi rivoluzionari progetti ed alla vita di cantiere, tanto che Bernini lo scherniva proprio perché spesso abbandonava gli incarichi prima della fine delle costruzioni, ma probabilmente fu l’antagonismo così feroce ad indurlo al suicidio. La salita al trono di Papa Alessandro VII segnò il suo tramonto professionale ed una nuova ascesa di Bernini come architetto della corte papale; le crisi psicologiche furono sempre più frequenti, ed alternavano scoppi d’ira ad una profonda depressione. Il suo diarista annotò che negli ultimi giorni fu “ancora più stravagante e lacrimevole”, fino a trafiggersi con una spada e morire lentamente, dopo aver dettato le proprie disposizioni testamentarie.
La sepoltura nella Chiesa di San Carlo alla Quattro Fontane, da lui costruita, gli fu negata perché suicida, e fu tumulato sotto semplice lapide in San Giovanni dei Fiorentini, mentre Bernini, che era suo coetaneo, gli sopravvisse 13 anni e fu sepolto con tutti gli onori vicino all’altare di Santa Maria Maggiore, una delle quattro Basiliche Papali di Roma.