di Gabriele Rizza
Dal 1988, l’1 dicembre è la giornata mondiale contro l’Aids, malattia che da quarant’anni ad oggi ha colpito 78 milioni di persone e causato 35 milioni di morti, di cui 45 mila in Italia. Malattia passata in secondo piano nel mondo occidentale, a causa dei progressi scientifici nella prevenzione, diagnosi e cura, tanto da affermare che “se diagnosticata e curata per tempo non uccide più e i pazienti sopportano sempre di più le cure”. Perché i limiti della farmacologia sono ancora principalmente due: il virus dell’HIV muta rapidamente e questo rende più complicato formulare un vaccino sicuro ed efficace, mentre gli antiretrovirali, a differenza di quelli contro l’epatite C, non riescono a eradicare il virus dall’organismo perchè “agiscono solo sui virus replicanti attivati, non sui serbatoi latenti. Per questo la terapia dura tutta la vita“, come spiegato da Gianni Sava, professore di farmacologia all’Università di Trieste e consigliere della Società Italiana di Farmacologia.
Al pari di una cura efficace, e quindi di morti in occidente che non fanno più notizia, si ha avuto negli ultimi anni un calo di attenzione della diagnostica, tanto che da un’indagine Doxa,presentata dal Cesvi, è emerso che fra i giovani italiani tra i 16 e i 34 anni uno su tre non considera l’Aids un pericolo reale e non si protegge. Ed è proprio la fascia tra i 25-29 anni la più attenzionata, perché da una parte in Italia calano i casi di HIV, ma dall’altra aumenta la percentuale di giovani colpiti. L’Ansa ha riportato che 6 casi su 10 di malattia diagnosticati in ritardo, in un aumento delle donne italiane infettate dal virus e in un aumento degli insospettabili contagiati, dai professionisti agli studenti universitari. Segno forse di un’eredità nella prevenzione che non ha funzionato del tutto, poiché si tratta di una generazione che non è cresciuta nell’epoca in cui avere l’AIDS era quasi morte certa. Un danno sociale e psicologico oltre che sanitario, perché l’Aids è la malattia dai pregiudizi sociali e comportamentali per eccellenza: un malato di Aids, come un sieropositivo, viene socialmente isolato perchè poco si parla delle reali modalità di trasmissibilità della malattia, e così nessuno vuole avere a che fare con lui per delle paure che scientificamente non hanno ragione di esistere. Si crea un vortice di solitudine, abbandono e vergogna che ad oggi non dovrebbero più esistere. La giornata mondiale contro l’Aids come prevenzione, ma anche come ragionevolezza sociale e civiltà nei confronti dei malati e per i malati.