REDAZIONE ONLINE, MILANO. In collaborazione con Alessandro Milani.
Forse alle nuove generazioni potrebbe risuonare antico, fuori epoca. In realtà, Giacomo Leopardi è del tutto attuale, anzi, attualissimo. E’ ormai consuetudine, nell’immaginario collettivo, inglobare il poeta di Recanati in una sfera di pessimismo totale, senza spiragli e senza possibilità di riscatto. Si tratta di una valutazione reale e certamente corretta, si pensi al “pessimismo cosmico” leopardiano, ma parziale e non è da considerarsi la sola, l’esclusiva chiave di lettura del nostro grande poeta. Lo dimostriamo subito, citando alcuni versi de Il pensiero dominante: “Dolcissimo, possente/ Dominator di mia profonda mente/ […] Pensier che innanzi a me si spesso torni.” E ci chiediamo, quale sarà il “pensiero dominante” per Leopardi? E’ l’amore. Molte persone, anche oggi, potrebbero ritrovarsi nei versi vissuti, sudati e sofferti del grande poeta di Recanati. Leopardi vive una solitudine del cuore molto intima e profonda: egli ama ma vede che non vi è corrispondenza da parte delle donne amate, o meglio, egli ama ma non ha il tempo biologico per poter vivere, un’esistenza così intensa quanto breve e dolorosa. Sicuramente la sintesi della sua vita e il suo testamento spirituale, ormai riconosciuto dai più della critica letteraria, risiede ne La ginestra. Scritta a Torre del Greco nel 1836, tra le ultime composizioni del poeta, La ginestra o Il fiore del deserto è la summa e la sintesi più vissuta della propria vita terrena. Ecco il motivo del “fiore del deserto”: tra la catastrofe e la cinerea distruzione della lava vulcanica del Vesuvio, affiora la ginestra, che ricorda la vita e in un certo qual senso la rinnova, anzi, essa è il testimone più concreto della sua presenza. Leopardi quando giunge nel napoletano è ormai molto ammalato, a causa di una serie di complicanze della sua debole salute fisica. Trovo straordinaria la lucida contemplazione del cosmo stellato durante una notte del poeta, nonostante le sue forze siano ridotte ormai al minimo: “Sovente in queste piagge, /Che, desolate, a bruno/ Veste il flutto indurato, e par che ondeggi, / Seggo la notte; e sulla mesta landa/ In purissimo azzurro/ Veggo dall’alto fiammeggiar le stelle, / Cui di lontan fa specchio/ Il mare, e tutto di scintille in giro/ Per lo vòto seren brillare il mondo.” Questi versi sono una chiara dimostrazione d’amore per la natura circostante e nella quale noi mortali siamo inseriti. Spostando ora l’attenzione alla tematica civile e oserei dire politica, perché affermo all’inizio che Giacomo Leopardi è molto attuale nelle proprie tematiche? Sicuramente perché le dispute, le lotte fratricide, le guerre avevano caratterizzato anche la difficile epoca in cui viveva il poeta: pensiamo, ad esempio, ai fermenti della società di un’Italia che si sarebbe unitamente formata nel 1861; pensiamo alla censura borbonica che non ammise alcune delle Operette Morali di Leopardi. Credo che l’invito umanamente più bello da parte del poeta di Recanati sia il tema della “confederazione umana”, per cui l’umanità dovrebbe fare fronte comune contro i pericoli e le distruzioni della natura, senza guerreggiare inutilmente e tanto stoltamente. Ecco il motivo per cui La ginestra è il “fior gentile”, che commisera i danni dell’uomo. Leopardi è abilmente in grado di rendersi anche misterioso e profetico quando così si esprime “Dipinte in queste rive/ Son dell’umana gente/ Le magnifiche sorti e progressive.”, citando il cugino Terenzio Mamiani, del quale il poeta stima l’eleganza delle parole. Cosa intende Leopardi con le magnifiche sorti e progressive? Saranno così liete le nostre sorti? E il nostro progresso scientifico cosa ci potrà donare? Lascio le risposte a voi lettori. E sempre a voi, cari lettori, non sembra che in questi difficili giorni della crisi siriana, dove piovono missili e gli uomini lottano duramente l’uno contro l’altro, si possa dire che se l’uomo non si unisce e non cessa con la guerra si giungerà a una distruzione gravemente più ampia? “E tu, lenta ginestra, / Che di selve odorate/ Queste campagne dispogliate adorni, / Anche tu presto alla crudel possanza/ Soccomberai del sotterraneo foco […] E piegherai/ Sotto il fascio mortal non renitente/ Il tuo capo innocente […] Ma più saggia, ma tanto/ Men inferma dell’uom, quanto le frali/ Tue stirpi non credesti/ O dal fato o da te fatte immortali.” Così risuonano gli ultimi versi del “testamento spirituale” di Leopardi. Un invito che dovremmo cogliere tutti: Aiutiamoci tra noi, siamo più saggi, poiché la Natura sarà sempre più forte di tutti noi.