di Angelo Portale
Nella prima lettura di questa domenica il profeta Isaia parla della figura di un servo sofferente che sarà salvezza per tutti gli uomini. Si racconta che Dio lo prostra nel dolore in modo che quest’ultimo potrà servire come espiazione dei peccati del mondo. Noi cristiani vediamo in questo servo sofferente la persona di Gesù Cristo. Ma c’è un versetto, nella lettura di Isaia, che ha richiamato la mia attenzione: «Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza». Il riferimento diretto di Isaia è sempre al servo sofferente e quello dell’ermeneutica della Chiesa a Gesù. L’intimo tormento di cui si parla possiamo interpretarlo come il momento della passione e della morte del Figlio di Dio. La luce conseguente può senz’altro essere la resurrezione. Quindi, Gesù, dopo il tormento della passione e della morte, ha visto la luce e si è saziato della sua conoscenza, una nuova conoscenza. Gesù ha visto la luce della risurrezione, di quella sua e di quella futura di ogni uomo. Ha conosciuto fino in fondo la volontà di Dio e questa conoscenza–realizzata lo ha saziato. La volontà di Dio è la salvezza di ogni uomo e Gesù si è saziato di aver potuto realizzare questo progetto del Padre. Gesù si è saziato nella volontà di Dio, della volontà di Dio. Portare a compimento la volontà del Padre è stato il suo vero cibo, è stato ciò che ha sfamato il suo abissale desiderio di noi: «Cristo ha sete che noi abbiamo sete di lui». La sete di Gesù si identifica con la nostra sete di lui, affinché la nostra sete di lui ci porti a bere la vera acqua che disseta la nostra felicità: Gesù ha sete della nostra felicità. «La gloria di Dio è l’uomo vivente», cioè l’uomo che realizza pienamente la sua vita, l’uomo vivo che sa amarsi, sa amare, si lascia amare da Dio e dai fratelli. Aver portato a termine la volontà di Dio ha saziato Gesù ed infatti, sulla croce, prima di morire, ha detto: «Tutto è compiuto», cioè tutto è giunto al suo fine al suo scopo. In questa affermazione è implicita tutta la sua ansia di portare a compimento la missione. Morendo in croce ha mostrato che Dio è innocente e che l’inganno del serpente, sul Dio geloso, cattivo e invidioso, era falso. Tanto è stato necessario al fine di togliere le squame diaboliche dagli occhi degli uomini che verso Dio nutrivano sospetto! Morendo sulla croce Gesù ha mostrato che Dio è dalla parte dell’uomo, talmente tanto da donargli la cosa più preziosa pur di essere creduto. Crediamo noi in questo? Crediamo che Dio sia sempre dalla nostra parte? Abbiamo la consapevolezza, esperita nel concreto, che qualsiasi cosa accade tutto concorre sempre al nostro bene?
Se allora siamo nel tormento non malediciamo. Cerchiamo di viverne fino in fondo la sua necessaria azione sulla nostra anima. Ogni tormento è sempre per la nostra evoluzione spirituale. Entriamo nelle nostre stanze buie. Sperimenteremo che dopo ogni travaglio ci sarà sempre la luce, un parto di noi stessi, l’acquisto di una nuova conoscenza, non astratta ma esperienziale. Ogni tormento, se vissuto bene, ci partorisce di nuovo, ci rigenera. Questa “nuova conoscenza” sarà di noi stessi e, in noi, di Dio. E sarà questo a saziarci: conoscere noi e Lui, Lui in noi e noi in Lui. Conoscendolo lo ameremo. Conoscendoci ci ameremo. Amandolo, lo conosceremo sempre meglio. Amandoci, ci conosceremo sempre meglio. Così potremo dire ogni giorno: «Tutto è compiuto» cioè: “Ho colpito il bersaglio che dovevo colpire. La mia missione ha trovato compimento. Ho realizzato ciò che dovevo realizzare”. In greco, “Tutto è compiuto” è “Tetelestai”, vuol dire, appunto: “portare a termine, porre fine”. «È una parola importantissima perché sta ad indicare l’esito positivo di una particolare azione». «Nel greco del Nuovo Testamento “Tetelestai” è al tempo perfetto.Questo è molto importante perché il tempo perfetto si usa per esprimere un’azione che è stata completata in passato con risultati che continuano a manifestarsi nel presente e nel futuro. Se il tempo passato denota un evento già accaduto, il tempo perfetto reca in sé l’idea di “ciò che è avvenuto ed è ancora oggi in vigore”. Gesù gridando “Tutto è compiuto” intendeva dire “è compiuto in passato, è ancora compiuto nel presente, e continuerà ad essere compiuto nel futuro”. Si noti un’altra realtà: Gesù non disse “Io sono finito”, il che avrebbe implicato che era morto stremato e sconfitto. Egli gridò “Tutto è compiuto”, cioè “Ho eseguito con successo il compito per il quale ero venuto”. “Tetelestai” è dunque il finale grido di vittoria del Salvatore. Quando morì, Cristo non lascio dietro di sé nulla in sospeso».
E cosa dovremmo realizzare noi? La conoscenza e l’amore, entrambe verso Dio, entrambe verso gli altri, entrambe verso noi stessi, ogni giorno nel luogo concreto in cui ci troviamo.
È questo che ci sazia veramente, pienamente, profondamente.