Di Roberto Donghi
Uno spettro si aggira per il G7 di Biarritz ed è lo spettro del Governo Italiano.
Il nulla cosmico in politica estera è stato finalmente toccato: alla conferenza dei 7 stati più ricchi del mondo, l’Italia (non) ci sarà o meglio, starà lì, a sorridere sperando di non sembrare inopportuna.
Angela Merkel ha lasciato il testimone in mano a Macron (già lo avevamo capito dopo le elezioni europee del Maggio scorso) ed il presidente d’oltralpe si pone ora come ago della bilancia nei dissidi tra Unione Europea e resto del mondo. Una specie di Ministro degli Esteri europeo, che tratta faccia faccia con Trump sui dazi e sulla distensione Usa-Ue-Francia, che propone di far rientrare la Russia nel giro di quelli che contano (alla faccia dei putiniani nostrani) e che si prepara a mettere il naso pure nelle questioni iraniane.
Un “presidente europeo” sostenuto da un asse francotedesco che guida un continente e con un’Italia nel ruolo del grande “presente assente”, come direbbe Carmelo Bene, della politica mondiale, un alleato che “se c’è bene, se non c’è anche meglio”. Una nazione instabile in un momento che richiede stabilità, urlante in un momento che richiede calma, distensione e diplomazia.
Va riconosciuto: non è la prima volta nella nostra storia che ci si presenta ad una conferenza dei paesi più ricchi con un governo appena eletto od in via di dimissioni ma nel corso dei decenni, in questi casi, il governo entrante (o uscente) ha sempre seguito una linea di continuità, seppur di banale ripiego, sui “pilastri” dell’atlantismo, dell’europeismo e della necessità di avere maggiori riguardi nei confronti del Mediterraneo. Una continuità anche banale forse, espressione di una incapacità di andare oltre, di dettare una linea o perseguire degli interessi, ma pur sempre una sottile linea di valore politico di fronte agli altri attori. Oggi questa linea di continuità non funziona più. Certo, il risvegliato Conte si allineerà a tali principi, pur lasciando il tempo che troverà vista la sua difficile posizione e, soprattutto, tale posizionamento questa volta non basterà a dare rassicurazioni agli altri partner poiché vi è una domanda alla quale neanche noi italiani siamo in grado di rispondere: da che parte stiamo?
I 5 Stelle, lo sappiamo, hanno lasciato a Salvini la possibilità di fare e dire quanto più gli pareva lecito in qualsiasi materia, esteri compresi. Un comportamento che ha reso indefinita la posizione italiana nel mondo: prima vicini alla Cina senza affrontarla nel blocco europeo, poi vicini, troppo vicini a Putin con il caso Savoini (del quale ancora nessuno si è assunto la responsabilità di riferire alla nazione) un caso che rispecchia interessi puramente personali e di partito che ha coinvolto però una nazione intera.
Ma al di là di tali vicende, che si sarebbero potute chiarire, è proprio il fatto di avere un Conte dimissionario ad escludere l’Italia dai bilaterali, i veri incontri che contano e dei quali Macron, come visto ieri con il presidente Trump, approfitta per fare i propri interessi e quelli dell’Europa intera.
Una situazione imbarazzante quindi, nella quale le colpe di Conte sono relative e quelle dei Salvini e dei di Maio sono grandi, oltre che ancora inspiegate. Siamo passati da un limbo di comodo ad un inferno di inutilità ed inconsistenza politica. Senza un deciso cambio di rotta il Mediterraneo, vero centro del mondo per i suoi attori, le sue crisi, le sue opportunità, le sue risorse, sarà declassato ad un ruolo sempre più marginale e l’Italia che lo domina (o dovrebbe) a paese con il peso di uno stato nordafricano, tenuto nel G7 per semplici meriti passati, sempre più lontani, sempre più sbiaditi.