di Gabriele Rizza
Di Franco Battiato si è detto di tutto e di più. Testi, musiche, mondi mistici e intrecci di culture dall’oriente al nord, sono stati e continuano ad essere spiegati. Lo chiamano Maestro, ma per la cultura e la storia di questo paese è stato molto di più e qualcosa di diverso: prima di tutto Franco Battiato è l’eterno studente di tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta e di ciò che per mistero non si può apprendere ma solo cogliere, studente della meraviglia e dello stupore. Di ciò che non si vede, tocca e manipola, e che si può vedere solo nel buio “dell’occhio interiore”. È l’eterno studente che manca a questo paese, fatto ormai di aspiranti esperti e di esibizionisti dell’apprendimento, per frustrazione e per l’ansia del riconoscimento – sociale e personale – che cerchiamo sempre negli altri, che sono concorrenti e non più altre anime.
Franco Battiato è stato studente quanto avanguardia, con quel filo di provocazione non per contrasto, ma perché un passo avanti rispetto ai tempi, pur galleggiando sempre tra le cose grandi del passato, perché come diceva Giuseppe Prezzolini, il passato “è come una molla, si torna indietro per aver maggior spinta per andare avanti”. Agli albori della sua carriera, quando le copie vendute dei suoi primi dischi restavano intorno alle centinaia, sono famosi in cui durante le esibizioni live lasciava uscire dalle casse musica non gradita dal pubblico. Questi abbandonavano il palco e le casse restavano lì a suonare solo per le orecchie di Franco. Era noncurante dei gusti, aveva semplicemente il gusto per le sperimentazioni, più semplicemente per la musica. E dire per la musica, non suoni come un’ovvietà: musica è sperimentazione, ma se facciamo un giro in un negozio di musica nel reparto nuove uscite, è facile rendersi conto come tutto è ormai basato sul seguire il trend di successo. Provate a trovare distinzioni notevoli tra i 549 (numero sparato a caso) artisti indie tanto in voga, si fa fatica anche a distinguerne le voci.
Seguono i trend la musica e la cultura, come la segue la politica con le sue idee e i programmi elettorali. Non più visione, ma calcolo sommario e sommato degli interessi e dei desideri soggettivi. Non più aspirazione, ma freddezza della tecnica. Tra artisti, scrittori e politici, tremendamente pochi sono coloro capaci di aspettare per aver ragione. Una “Povera patria” che cavalca (male) il successo e non lo anticipa, che non conosce il suo passato e non lo vuole conoscere.