di Mario Alberto Marchi
Si discute, anche con toni accesi, su quali fondi europei d’accettare, ponendo come parametro “morale” l’intenzione di mantenere una nostra autodeterminazione, rispetto a un’Unione Europea percepita come invadente e con il brutto vizio di nutrirsi della nostra sovranità.
Anche a non voler essere ideologici, suona davvero male il fatto incontestabile che all’Europa diamo più di quanti riceviamo: in media, siamo creditori per un po’ più di 3 miliardi l’anno. Non poco, ma il problema è che a ogni pianificazione che abbracci cinque anni di legislatura, rischiamo di ricevere sempre meno.
L’Unione Europea, infatti, restituisce in proporzione a quanto gli stati dimostrano di aver bisogno. E noi, ogni anno, ci comportiamo come quelli che di soldi non hanno un granchè necessità.
Nella legislatura passata, più l’inizio di quella in corso, l’Italia ha ricevuto75 miliardi; alla fine del 2019 aveva speso appena il 35% dei fondi, cioè 26 miliardi. Il settore in cui abbiamo usato meglio i fondi europei è il programma per l’occupazione giovanile: 57%.
Per quanto riguarda il fondo per lo Sviluppo regionale, altra voce importante, abbiamo deciso dove fare andare il 31% delle risorse, ma ne abbiamo speso solo il 6%.
Ma come è possibile? Con quale incredibile e perversa abilità riusciamo a buttare via così i soldi che ci spettano?
Innanzitutto, siamo dei pasticcioni e proponiamo alla Commissione Europea progetti che spesso non sono conformi con le direttive, insomma”ci proviamo”. A volte invece i progetti sono validi, ma presentati con errori formali clamorosi che ne determinano il respingimento. Soprattutto nelle pubbliche amministrazioni, c’è il brutto vizio di farli elaborare a qualche volonterosa segretaria, quando invece si tratta di documenti che necessitano di competenze specifiche notevoli. Se poi tutto va bene, si presenta la madre di tutti i problemi: la famigerata giustizia civile.
A parte quando la magistratura scopre frodi e ruberie, accade spesso che quando qualcuno vince, c’è qualcun altro che fa ricorso, oppure a ricorrere sono gli stessi enti pubblici che rilevano anomalie a progetti avviati; controversie legali che vanno avanti da anni, e nel frattempo i fondi restano fermi, quindi a Bruxelles pensano che, tutto sommato, “forse non ne abbiamo così bisogno”.