di Gabriele Rizza
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone potranno iniziare a lasciarsi alle spalle, almeno per quel che riguarda il rapporto con l’India, una vicenda iniziata nel 2012, quando furono accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiati per pirati. Da lì la lunga, ingiustificata e “politica” carcerazione lontano dall’Italia, mentre i governi italiani in carica non hanno potuto che subire l’ennesima situazione di impotenza di fronte a qualsiasi decisione di un altro paese. Abbiamo dovuto aspettare il luglio 2020 per avere ragione, quando il Tribunale arbitrale internazionale decise che il processo ai due marò andava svolto in Italia perché i due fucilieri italiani godevano all’epoca dei fatti dell’immunità funzionale. A distanza di un anno l’India chiude la vicenda accettando un risarcimento di poco più di un milione di euro (pari a 100 milioni di rupie, valuta locale), destinati alle famiglie dei pescatori rimasti ingiustamente uccisi e al proprietario della nave dove questi prestavano servizio.
Si chiude così l’ennesima “figuraccia” di un’Italia ormai in balia di qualsiasi governo, rapitore o gruppo terroristico. Il decennio passato ha visto macchie sulla nostra bandiera che non si potranno mai cancellare, vittime e famiglie rimaste senza giustizia o che porteranno sempre un dolore mai risarcibile: il caso Regeni e l’ostilità dell’Egitto nelle indagini, con un’Italia china perché in posizione di sudditanza per preservare la propria posizione nell’estrazione delle materie prime in quel paese, i pescatori di Mazara del Vallo, la richiesta di aiuto alla Turchia per la liberazione di Silvia Romano. Sullo sfondo c’è la madre di tutte le vicende, il “fatto” da cui è partito l’umiliazione italiana in giro per il mondo: la caduta di Gheddafi. Un giorno principale alleato dell’Italia, il giorno dopo nemico con i nostri bombardieri a far compagnia a quelli francesi e inglesi. Una decisione subita del tutto contro i nostri interessi costruiti negli anni, alla quale abbiamo preso parte, senza conservare dignità e fede nelle nostre scelte. Cose che a livello internazionale si pagano, e da dieci anni ne abbiamo la prova. Oltre il Recovery Plan c’è una dignità da riconquistare.