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martedì, 17 Dicembre, 2024

Femminicidio: l’infermità mentale non può sempre essere una giustificazione

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Troppe volte sentiamo parlare di femminicidio e molte volte a questa parola vi è legata la sfera dell’infermità mentale. Questo avviene perché, spesso, il fenomeno perverso del femminicidio è correlato ad effetti provocati da patologie psicologiche. 

Attraverso indagini psicosociologiche, è emerso, infatti, che intorno al femminicidio c’è una vera e propria predisposizione mentale.  

La maggior parte degli uomini che hanno commesso un assassinio nei riguardi delle proprie mogli, fidanzate, o conviventi, vengono giudicati da tutti come “bravi ragazzi”, “persone normali”, vicini di casa che nessuno avrebbe mai giudicato soggetti rancorosi ed aggressivi; persone quindi socialmente stabili ma che nascondono un tratto latente di rabbia, ossessione e possessività, nei confronti della propria partner, che, ai loro occhi, è solo un oggetto di loro appartenenza. 

Spesso, però, questo disturbo mentale viene quasi considerato un’attenuante, cosi come accaduto nel caso del giovane avvocato trentacinquenne, uccisa dal marito a Roma, fuori al ristorante dove entrambi si erano recati per una cena, forse in virtù di una tentata riparazione dopo la rottura avvenuta tra i due. 

Anche in questo caso l’uomo in questione sembra aver vissuto una vita normalissima e colui che dapprima viene incriminato come assassino, poco dopo, davanti alla legge, diventa quasi la vittima di uno scenario apocalittico che lui stesso ha messo in atto. 

Lo psicologo ricostruisce la storia attraverso la vita del soggetto indagato, sottoforma di caso clinico, cercando di ritrovare qualunque eventuale carenza, fobia o perversione, purché il criminale, da carnefice, possa diventare vittima del reato che lui stesso ha commesso.   

Come stabilire, in ogni ogni singolo caso, quale sia la realtà dei fatti, non è per nulla semplice. 

 Per ogni femminicidio commesso, s’innesca un meccanismo di attacco o di difesa verso il condannato. Bisognerebbe quindi attivarsi prima che avvenga l’irreparabile, magari mostrando maggiore attenzione verso chi realmente ha condotto una vita complessa o drammatica e sceglie di condividerla con un’altra persona.

Ciò che è certo, è che qualsiasi sia il motivo che conduce un uomo al femminicidio, la prima analisi clinica che  emerge, è quella che in ogni vita di coppia bisognerebbe analizzare gli effetti psicologici di entrambe le parti, ancor prima di iniziare una convivenza, ma questa teoria, fino a quando ci sarà di mezzo Eros, resterà una pura utopia. 

di Daniela Buonocore 

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