Troppe volte sentiamo parlare di femminicidio e molte volte questo crimine viene connesso all’infermità mentale, questo avviene perché il più delle volte il fenomeno perverso del femminicidio è correlato a sintomi dovuti a patologie psicologiche.
Attraverso indagini psicosociologiche, è emerso infatti che per il femminicidio c’è una vera e propria predisposizione mentale.
Nella maggior parte delle testimonianze ascoltate, i carnefici erano considerati da tutti “dei bravi ragazzi”, persone normali, vicini di casa che nessuno avrebbe mai ritenuto soggetti rancorosi ed aggressivi, persone quindi socialmente stabili ma che nascondono della rabbia latente e un’ossessione non trascurabile verso la propria partner che, ai loro occhi, è solo un oggetto di loro proprietà.
Da un lato vi sono coloro che considerano il femminicidio analizzando il profilo psicologico di chi ha commesso un reato, dall’altro vi sono coloro che riconoscono semplicemente un assassino crudele che, con freddezza e lucidità, decide uccidere la propria partner.
Come stabilire per ogni singolo caso quale sia la realtà dei fatti non è per nulla semplice.
Per ogni femminicidio commesso s’innesca un meccanismo di attacco o di difesa verso il condannato, bisognerebbe quindi attivarsi prima che avvenga l’irreparabile, magari mostrando maggiore attenzione verso chi realmente ha avuto una vita psicologicamente disastrata e che nel momento in cui decide di affiancarla a quella di un’altra persona, in realtà non lo faccia solo per arginare le proprie frgilità.
Nel caso opposto invece, basterebbe limitarsi a giudicare il reato per quello che è realmente, ovvero omicidio volontario.
Ciò che è certo è che in ogni vita di coppia bisognerebbe analizzare i profili psicologici di entrambi i componenti, ancor prima di iniziare un’eventuale convivenza, ma questa teoria resterà una pura utopia.
di Daniela Buonocore