di Abbatino
È in Italia, e solo in Italia, che si formano governi così arcobaleno da far invidia all’arcobaleno stesso. La melassa che avvolge il governo “parlamentare” di Draghi, non a caso si ripete il termine parlamentare, rappresenta una forma di commissariamento della politica che alla lunga stanca gli italiani, e va ad incidere sull’astensionismo alle elezioni di qualunque tipo. Draghi non è che l’ultimo di una lunga serie di presidenti del consiglio che emergono non dalle urne, ma dagli accordi di palazzo. Proprio gli accordi di palazzo ribaltano spesso i risultati delle elezioni: chi ha vinto nel 2018, la coalizione di centro destra, non ha mai avuto la possibilità di governare unita la nazione. Accordi e accordicchi, sono stati necessari poiché nel gioco parlamentare ed elettorale non vi è mai stata chiarezza nel risultato a causa di leggi elettorali che ogni volta vengono cambiate ad uso e consumo di chi pensa di perdere le elezioni. In questo destra e sinistra sono stati ugualmente ambigui: per paura di perdere le imminenti elezioni, cambio le regole del gioco, con legge ordinaria, inventandosi forme e alchimie che non facciano vincere l’avversario. Sgombrato il campo dal politichese, la vera riforma che non ha mai traballato è stata quella dei sindaci, eletti direttamente dal popolo, apprezzata tantissimo da tutti. Adesso che il governo è così ampio perché non guardare ad una riforma così chiara e diretta come l’elezione del primo cittadino nei comuni? Chiamiamo le cose con il loro nome, è una riforma in senso presidenziale che servirebbe a questa politica commissariata dal tecnico di turno. Adesso ci sarebbero i numeri per farla. E anche il tempo per avviarla, considerato che eleggere direttamente il premier sarebbe fattibile entro questa legislatura e aprirebbe uno scenario nuovo nella vita democratica del paese. Non perdiamo questa occasione.