di Susanna Russo
Puntuale per il secondo turno, quello definitivo, arriva un rapporto redatto dall’Ufficio Europeo Antifrode, una segnalazione che riguarda Marine Le Pen, il padre, e alcuni colleghi. Questi avrebbero ottenuto rimborsi per un totale di oltre 61700€ per pagare tribunale e spese legate all’attività politica, quindi non per uso personale, ma si tratterebbe comunque di “soldi sottratti da fondi europei spesi in modo non conforme alla legge”. La candidata nega il proprio coinvolgimento, “si riserva il diritto di intraprendere azioni legali contro ex collaboratori che potrebbero essersi appropriati dei fondi senza che lei ne fosse a conoscenza”. Questa vicenda ricorda vagamente quanto successo in piena campagna elettorale per le Amministrative di Milano, quando Giorgia Meloni si ritrovò a doversi dichiarare estranea ai fatti denunciati nell’inchiesta portata avanti da Fanpage e a condannare chiunque dei suoi si fosse reso protagonista di qualche illecito. Tanto che, ciò che fece notare la leader di Fratelli d’Italia, ossia che fosse quantomeno insolito che del materiale così pregiudicante venisse a galla proprio in tempo di elezioni, prende forma anche nelle dichiarazioni che Le Pen rilascia tramite il suo avvocato, volte a far notare come i documenti siano stati diffusi in un momento cruciale per la campagna elettorale, giusto due giorni prima del dibattito decisivo tra i due candidati.
Certo, le elezioni dello scorso ottobre a Milano sono poca cosa rispetto alle presidenziali francesi, e l’inchiesta di Fanpage riguardava fatti più gravi, tra cui, soprattutto, finanziamenti in nero, ma la strategia è la medesima.
Come però, ai tempi, per come si presentavano i sondaggi soprattutto a Milano, mettere i bastoni tra le ruote del candidato presentato dal centrodestra era un po’ come sparare sulla croce rossa, nemmeno questa volta sembrerebbe indispensabile fare di tutto per osteggiare Le Pen, che viene già data per sconfitta.
Eppure, l’erede di Jean-Marie, spesso e volentieri penalizzata ancora oggi proprio per l’eredità paterna che la segue come un’ombra, non smette di lottare. Il comizio tenutosi a Marsiglia qualche giorno fa era tappa fondamentale per i due candidati; qui, durante il primo turno, 1 votante su 3 si è espresso a favore di Mélenchon, e questi sono tutti voti importanti da recuperare al secondo turno. Lo stesso vale per la banlieu di Saint-Denis, periferia nelle mani dell’estrema sinistra. La corrispondente per La Repubblica, Anais Ginori, ha raccolto testimonianze sul posto e ha riportato che lì i cittadini cominciano a dirsi stanchi di Macron e i 2/3 dei militanti valutano di astenersi. È questa un’altra similitudine con quanto accade in Italia: gli abitanti delle periferie accusano il colpo, la sinistra perde i loro voti, la destra non riesce a raccoglierli.
Non solo nelle periferie si scorge questo tipo di insofferenza, in generale 1 elettore su 5 che ha espresso la sua preferenza per il leader di La France Insoumise, definisce Macron come “il presidente dei ricchi”, “uno che non conosce la vita del popolo”, “sconnesso dalla realtà”: poche parole che descrivono perfettamente la falla della politica attuale. Secondo i cittadini francesi non può essere “insieme al Popolo” un presidente che sposta l’età della pensione dai 60 ai 65 anni, tanto per fare un esempio. E forse è proprio con questo spirito che una ragazza musulmana residente nella periferia francese, intervistata sempre da Anais Ginori, riferendosi a Marine Le Pen, dichiara: “certo è un po’ razzista, ma non sono sicura che farebbe peggio di altri.”
Le banlieues parigine sono zone profondamente degradate, le periferie delle principali città italiane vanno nella stessa direzione, il popolo si sente inascoltato, incompreso ed emarginato. In Francia, come in Italia, manca il pane e non è nemmeno più tempo di brioches.