Eva Robin’s, icona trans dello spettacolo italiano, alterna la sua presenza come attrice in televisione, al cinema (in film diretti da Dario Argento, Damiano Damiani, Maurizio Nichetti, Alessandro Benvenuti) e in teatro, dove debutta nel 1993 al Festival di Santarcangelo ne La voce umana con la regia di Andrea Adriatico, con il quale calca le scene in molti altri spettacoli, attraversando autori come Cocteau, Copi, Beckett, Jelinek. Sempre in teatro ha lavorato con altri registi come Valter Malosti e Leo Muscato (in Tutto su mia madre, che le è anche valso la candidatura al premio Ubu 2011).
Dal 30 novembre al 3 dicembre è in scena al Teatro Leonardo di Milano con evə, per la regia di Andrea Adriatico.
Nel corso della sua carriera ha lavorato per il cinema, la televisione e il teatro. Attraverso quale di questi canali sente di poter esprimere pienamente se stessa?
«Devo dire che il teatro mi ha dato la possibilità di interpretare diversi ruoli e conoscere molti registi. Il linguaggio teatrale è quello che al momento sento più mio. E’ anche il canale che mi permette di confrontarmi con me stessa. E’ sempre una sfida, una ricerca di nuovi stimoli, un salto nel buio.»
Lei ha iniziato la sua carriera teatrale recitando in uno spettacolo di Andrea Adriatico, lo stesso regista di evə. Che cosa significa lavorare con lo stesso regista in fasi diverse della propria vita?
«Lavorare con Andrea è sempre estremamente stimolante. Ho iniziato a lavorare con lui che ero ancora una dilettante, con lui sono cresciuta, mi ha presa per mano e mi ha erudita. Oltre ad essere un amico, è un artista geniale, in grado di stupirmi ogni volta attraverso le sue messinscene.»
Una delle battute dello spettacolo cita: “salve uomini, salve donne. E chi di voi non è né signora né signore, e né uomo né donna. Ma come me.” Com’è lei, come si definisce? E soprattutto, è importante trovare una definizione per quello che siamo?
«Beh, una volta dicevo che ero come un bimbo che cercava di crescere. Oggi sono un adulto che cerca di salvarsi. La vita è fatta di tante cose belle, ma anche di tante insidie. Io sono cresciuta in mezzo a tante difficoltà, ma queste hanno anche forgiato il mio carattere. Sicuramente adesso riesco a vivere con molta più leggerezza.»
Stiamo affrontando una fase storica complessa, in cui è difficile farsi vedere per quello che si è, senza filtri. Rispetto a ciò, a che punto pensa di essere lei?
«Io credo che, andando avanti con l’età e con l’esperienza, i filtri vengano a meno. Nonostante sia l’era del politically correct, sento di avere molta più libertà, di essere apprezzata per quello che sono, anche col mio volto “sgualcito”. Oggi aderisco perfettamente alla persona che avrei sempre voluto essere.»
Perché ritiene che il pubblico dovrebbe venire a vedere uno spettacolo come evə?
«Intanto perché si tratta della storia più antica del mondo. Si parte dalla Genesi, dalla creazione di Adamo ed Eva e dal loro gesto di disubbidienza. E’ un testo che è stato rivoluzionato da Stefano Casi e ancora manipolato da Andrea Adriatico.
All’inizio questo testo mi era stato offerto come monologo, ma ho ritenuto che ci fosse troppa carne al fuoco, motivo per cui mi sono tirata indietro. Si è quindi evoluto in un coro di evə, che si presentano, si raccontano, incontrano il pubblico.
Gli argomenti trattati sono moltissimi: dalle tematiche LGBTQ+, al femminismo. E’ uno spettacolo rivoluzionario per certi aspetti. Ci sono dei passaggi di strumentalizzazione della religione, ma se questa non viene vissuta come una semplice provocazione, è uno spettacolo di cui ci si innamora.»
Visto che abbiamo parlato di provocazione, secondo lei quest’ultima può essere considerata un modo per farsi ascoltare?
«Io credo che mostrarmi al mondo per quello che sono e che rappresento sia già una provocazione.
Il resto, ciò che si evince dal mio bagaglio culturale ed esperienziale, può essere una provocazione sì, ma che fa crescere, a meno che non vada a sollevare alcune questioni personali non risolte.»
di Susanna Russo