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giovedì, 19 Settembre, 2024

EURO: UNA OPPORTUNITA’ NON UNA SVENTURA. L’analisi di Fabio Ronchi

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Nel lasso di tempo che trascorrerà da oggi al giorno delle elezioni Europee, ne sentiremo di tutti i colori e possiamo scommettere che la corrente principale dei dibattiti sarà contro l’Europa e l’Euro.

Facile a comprendersi la ragione: siccome questa è la voce del popolo, se vogliamo voti, meglio assecondarlo.

Noi diciamo subito che questo atteggiamento è da irresponsabili perché se queste affermazioni avessero conseguenze pratiche, il popolo italiano, che già sta impoverendosi,  non farebbe che accelerare il proprio declino. Un politico serio e responsabile, però, dovrebbe perseguire il bene di un Paese, anche quando il proprio elettorato è contro, non essere un mero esecutore della volontà popolare. Deve essere guida, non servo. Insomma, non fare l’eletto grillino, senza idee e personalità propria.

Qualche giorno fa, abbiamo avuto un interessante confronto su Facebook, a volte fonte di ispirazione per trovare temi che possono interessare i lettori,  sull’annoso tema di Euro sì, Euro no. Tutto è nato da un thread di un collaboratore della nostra testata che diceva: “Riflessione: ma se ipoteticamente si uscisse dall’euro, il pranzo che pago oggi 10 euro lo pagherei 20.000 lire…..mica torna a 10.000 lire! “

Un altro in risposta, che chiameremo Bruno:  “Si pagherebbe in base al cambio moneta del momento, ma poi con gli anni la maggiore esportazione permetterebbe di aumentare il lavoro tassabile, diminuire le tasse e far si che tutto costi meno, anche l’aria che si respira”

Qui notiamo subito il primo errore di impostazione: infatti, se è vero che inizialmente si avrebbe un vantaggio competitivo per le esportazioni, è anche vero che sarebbe di breve durata, un paio di mesi, in quanto l’Italia, non avendo materie prime, sarebbe costretta ad importarle e queste, a causa della svalutazione che diverrebbe poi anche inflazione, costerebbero molto di più con la conseguenza che i prezzi aumenterebbero ed il vantaggio iniziale per le nostre industrie, essendo queste costrette ad aumentare i prezzi, si esaurirebbe o quasi. Chi ha lavorato, come chi scrive, con l’estero in epoca ante Euro ed ha vissuto qualche svalutazione della Lira, ricorderà questo fenomeno.

Un terzo, che chiameremo Nicola, ha poi commentato: “Passare alla lira vuol dire svalutazione immediata della moneta, a doppia cifra!

Al che Bruno si è espresso con un lapidario: “ma va la!”

Nicola, di rimando, gli ha fatto osservare che: “Se io stampo e metto in circolazione più moneta, essa si svaluta. È la legge della domanda e dell’offerta”. 

Bruno, non convinto: “chi ha detto che la zecca dovrebbe emettere molta più moneta di quella necessaria? Questo è ininfluente sui vantaggi che si avrebbero su esportazioni, lavoro e benessere. Basta vedere cos’ha fatto l’euro in questi anni: il made in Italy è morto e il made in China è tutto intorno a noi…insieme ai 2.000.000 di disoccupati (13%)”

Anche qui si continua ad ignorare che l’Italia è connessa al modo, per giunta globalizzato, perciò non le è possibile appollaiarsi su una torre eburnea ignorando il resto del Mondo. Oltretutto, ammesso che il Made in Italy sia morto, come da lui affermato, lo sarebbe per l’incapacità di adeguarsi alle richieste dei mercati: voler comparare l’Italia con la Cina è scorretto per molti versi, a cominciare dal fatto che stipendi, condizioni operative delle aziende, organizzazioni dei due paesi sono molto diverse con prezzi dei prodotti troppo differenti.

La Cina, almeno al momento, se si facessero le scelte giuste, non potrebbe né dovrebbe essere considerato un nostro concorrente. Direte: ma lo è! Lo è con quelle aziende Italiane che non hanno compreso la nuova situazione di mercato ed hanno mantenuto prodotti a basso prezzo ed ad alta intensità di mano d’opera che, per quanto siano bassi, non possono esserlo a sufficienza a paragone dei prodotti dell’Estremo Oriente, proprio per le ragioni sopra dette.

L’Italia deve abbandonare ed a volte l’ha già fatto, produzioni a basso valore aggiunto e che richiedono molto lavoro manuale. La politica dovrebbe incoraggiare, secondo noi, il passaggio da produzioni High-Touch a High-Tech. I signori Armani ed altri, che hanno fatto la fortuna di un settore importante  e trainante per il nostro Paese, purtroppo non sono eterni ed altri, che magari hanno fatto esperienza da noi, una volta tornati nel oro Paese, un giorno potrebbero superarci e farci diventare marginali, in quanto in questo settore, crediamo, è tutto piuttosto aleatorio ed i prodotti non sono difendibili da brevetti. Infatti, già ora vediamo come ci siano in giro tante repliche che, soprattutto in certi Paesi, sono difficilmente perseguibili. Gli Stati Uniti che sull’High-Tech hanno molto puntato, hanno percentuali di crescita di P.I.L. mediamente più elevate delle nostre. Ciò dovrebbe far meditare… .

Senza contare i possibili passaggi di proprietà come recentemente abbiamo visto con  Krizia passata in mani Cinesi. E’ un segnale di quanto stiamo dicendo: alla lunga il nostro High-Touch potrebbe non pagare più, anche se ovviamente non lo auspichiamo. Intervenendo a nostra volta nella discussione che era in corso, abbiamo fatto presente, a titolo esemplificativo, che se in questi giorni paghiamo un po’ meno la benzina, la ragione è anche che l’Euro, certo non privo di difetti, si è rivalutato rispetto al Dollaro Statunitense, moneta utilizzata per pagare il petrolio.  Ciò a riprova invece della  validità della nostra moneta unica.

Bruno cerca allora una difesa ed argomenta: “Ormai lo Stato, per stare in piedi, deve succhiare il sangue a quei 4 rimasti. Per toglierlo dal collo ci vuole lavoro. Se costa tutto meno del 40%, chi se ne frega? A me non interessa avere in tasca un bigliettone che vale molto se poi la mia azienda chiude perché il russo va a prendere la merce dal cinese”.

Grande è la confusione sotto il cielo! Se a scuola insegnassero le basi dell’economia a tutti, ne trarremmo tutti un grande giovamento.

A leggere questo commento, sembra di intendere, come sostengono i sindacati ed una parte dei politici, a partire dal Presidente del Consiglio, che il lavoro si crei da sé. Sembra che questo sia una variabile indipendente dalle condizioni di mercato, che, ricordiamo, solo in parte sono nazionali, ma soprattutto mondiali. Quindi, non solo il lavoro non si crea da sé, ma questo viene generato dal fatto che le aziende siano messe nelle condizioni di operare al meglio, in modo che possano essere competitive, partendo dal presupposto di avere produzioni che i mercati siano disposti a pagare al prezzo da noi richiesto e portare a casa quindi ordini che, allora sì, si trasformano in lavoro.

Poi c’è anche l’errore di pensare che grazie alla svalutazione tutto costerà meno.

Bruno, sconcertato dal questa ultima affermazione, ne chiede la ragione.  La risposta è che i € 10,00 dell’inizio del post, se si trasformassero nuovamente in lire, non sarebbero certamente Lit. 10.000, bensì, a causa della svalutazione che deriverebbe dall’abbandono dell’Euro,  Lit. 28.000.

Mettiamo ad ulteriore prova e tentativo di spiegazione, un nostro ricordo personale. Ai tempi della lira rappresentavamo delle aziende tedesche in Italia e quando la lira svalutava, per noi era una tragedia. Si vendeva meno ed i clienti che continuavano a comprare da noi aumentavano a loro volta i prezzi. Quindi alla fine gli Italiani compravano a prezzo più caro quei prodotti frutto di una trasformazione di quelli stranieri.

Ricordiamo che, a livello Nazione, quello che accadeva era che le esportazioni aumentavano per qualche mese, ma poi tornavano ai valori di prima e l’inflazione saliva. (Con quella arrivammo anche al 20%)!

In più, se davvero dovessimo lasciare l’Euro, i produttori Italiani sarebbero però costretti ad aumentare a loro volta i loro listini e, magari per limitare i danni, finirebbero per comprare pure loro dai Cinesi di turno, cosa non necessariamente avveniva prima dell’uscita dall’Euro, perché i prodotti orientali, pur essendo aumentati di prezzo rimarrebbero tuttavia competitivi  rispetto agli altri.

Otterremmo quindi l’effetto non di aumentare in questo caso la nostra produzione di beni, ma di incentivarne l’importazione da aree da cui prima certe cose non si importavano, con in più il rischio di peggiorare la qualità dei nostri articoli.  

Il nostro collega è poi intervenuto  rispondendo alla affermazione di poter battere moneta senza tanti problemi dicendo che: “bisognerebbe essere in grado di produrre tutto all’interno del proprio Stato ed avere più o meno tutte le materie prime… 

Se ipoteticamente si tornasse alla lira, le verrebbe attribuito un valore di scambio da parte della borsa monete, dai rating, dai mercati azionari, sicuramente di molto inferiore a quello che aveva in precedenza – non siamo noi a decidere quanto vale la nostra moneta sul mercato internazionale – e l’uscita dalla moneta unica ci farebbe vedere come uno Stato poco credibile con la conseguenza che il valore scenderebbe ulteriormente.

Pur battendo moneta in proprio, quindi lo Stato potrebbe teoricamente  “pagare” senza problemi, tuttavia si alzerebbe l’inflazione, con un aumento stimato pari ad almeno il 40%.

Questo significa che comprare un bidone di petrolio costerebbe (ammesso che qualcuno accetti una moneta autoproclamata) tantissimo con un costo per ciascuno di noi elevatissimo e non di certo pari agli stipendi che seppur “adeguati” non lo sarebbero mai agli stessi livelli. (N.d.R.: dei costi).”

Osserviamo noi che questo si rifletterebbe sia sui costi di produzione che richiedono l’impiego di energia, sia sui trasporti, influenzando quindi i costi finali dei prodotti.

Il nostro collega ha poi ricordato che un mutuo continuerebbe ad essere pagato allo stesso valore di prima, ma che, per  “comprare un euro”, a causa dell’inflazione aumentata, sarebbe un suicidio, diventerebbero impossibili da pagare.

Ribadendo il concetto del vantaggio di breve durata della svalutazione competitiva, ha anche fatto notare che, dopo una forte ripresa, ci sarebbe un brusco blocco e per far ripartire “il gioco”, bisognerebbe svalutare ancora la moneta, ma a questo punto, di fatto, il valore di un qualsiasi prodotto sarebbe quasi nullo.

A suo dire, il vero problema non è uscire dall’Euro ma dare un impulso all’economia italiana.

“In buona sostanza i conti del salumiere: ridurre le spese e aumentare i profitti senza mettere mano alla tasca dei clienti; questo è possibilissimo se avessimo politici avveduti. 

I soldi (N.d.r. :in Italia) non si sono smaterializzati, si sono semplicemente “fermati”. 
La paura, la mancanza di una certezza del domani, fanno si che nessuna azienda, privato, ecc…, faccia un passo o un investimento alla cieca, preferendo ridurre spese,  personale e costi in attesa di una ripresa della crisi, non rendendosi conto che non si tratta di UNA CRISI PASSEGGERA, ma oramai di uno status acquisito.

Bisogna ripartire da qui, ma non certo come stanno facendo, non certo 80 euro in busta paga, che non cambiano la vita”.

Bruno allora comincia ad essere dubbioso e dice:”mmhh ok e allora perché l’Euro non ha dato tutti questi benefici? Dov’è il lavoro? Perché la Germania galoppa? Anche Berlusconi è un “no euro”; anche lui capisce poco di economia? Se capisce poco lui allora siamo proprio rovinati…!”

 Ricordiamo che dopo la Prima Guerra Mondiale, la Germania era prostrata e l’inflazione così forte che la gente per fare la spesa andava con una carriola carica di soldi. In questi casi estremi, l’ideale è avere un conto in valuta estera e cambiare solo il necessario, per poi  correre subito a fare l’acquisto, altrimenti se si attendesse troppo a farlo nel corso della giornata, ciò che si ha in tasca (esempio lira), potrebbe non essere più sufficiente la sera per procedere ad un acquisto. Vi piacerebbe vivere una situazione di tal genere?

Possiamo quindi comprendere, anche se non condividere, come mai i Tedeschi, scottati da quella esperienza, ora abbiano timore pure dell’acqua fredda. Il DM., ante moneta unica, seguiva una politica deflattiva e l’Euro, nella BCE dove la Bundesbank conta, ne segue le orme. Crediamo che sia stata la condicio sine qua non dei tedeschi per accettare l’Euro.

Solo che forse ora stanno esagerando e, come l’inflazione eccessiva non è auspicabile in economia, pure il contrario, la deflazione, è dannosa. Questa rigidità tedesca, siccome siamo interconnessi, finisce per riflettersi non solo su di noi, ma anche sulla Germania stessa, che sta ora rallentando a causa del fatto che esporta meno, avendo i Paesi clienti con le economie in difficoltà ANCHE a causa di questa politica economica.

Facciamo notare che In realtà, qualche vantaggio dall’Euro, lo abbiamo avuto, in quanto un mutuo al 2-3% non si era mai visto prima dell’ingresso nell’Euro.

La Germania ha galoppato in questi ultimi anni perché nel recente passato, chiedendo il permesso all’Europa, assieme alla Francia ha sforato il limite del 3% momentaneamente e ne ha approfittato per fare le riforme, comprese quelle del lavoro, che noi non abbiamo fatto. I politici Italiano che chiedono il superamento di questa soglia, purtroppo, non lo fanno avendo in testa di seguire l’esempio della Germania, ma per continuare a spendere e spandere e  per evitare di affrontare i nodi dell’Italia, che elettoralmente non pagherebbero. Antepongono il proprio interesse a quello del Paese.

Facciamo notare che Berlusconi ha aziende per le quali i mercati di riferimento sono solo interni e quindi per lui sarà sufficiente adeguarsi alzando i prezzi. E’ quindi logico che, non avendo produzione di beni materiali, che richiedono importazioni e che magari vanno anche esportati, non se ne preoccupi o addirittura non abbia la percezione delle conseguenze di un’uscita dall’Euro. solo nel caso che un concorrente straniero, sena sede operativa in Italia, entrasse nel mostro mercato, allora potrebbe diventare sensibile al problema.

Ricordiamo a tutti che le aziende Italiane hanno un socio di maggioranza che, indipendentemente dall’andamento del mercato,  si intasca la maggioranza dei guadagni , non contribuisce in alcun modo all’andamento dell’azienda, non ci mette denari e si chiama Stato.

Inoltre, tornando a Berlusconi, lui può compensare la tassazione ed altri svantaggi proprio grazie alle sue attività all’estero, come tutte le aziende che hanno la fortuna di poter operare oltre i nostri confini perché, essendo di certe dimensioni, hanno sedi in altre nazioni dove l’impresa è meno vessata che in Italia. Ecco perché Silvio quindi lui può cavalcare l’onda dello scontento per prendere voti.

Dobbiamo avere invece a mente che il lavoro non c’è perché non abbiamo fatto le riforme, perché alle aziende, come abbiamo ricordato prima, lo Stato costa, a meno che non siano holding  con interessi anche all’estero,  dal 60-70% in su.

Quindi grandi risorse che potrebbero retribuire il capitale investito e spingere le aziende a cercare nuovi prodotti più remunerativi ed interessanti, ad innovare, a fare ricerca, ma che richiederebbero investimenti, queste sono assorbite dallo Stato. E’ lo Stato che ci ruba il lavoro, non l’Euro!

Inoltre il mercato del lavoro è rimasto, a dispetto delle dichiarazioni, piuttosto rigido. Se si osservano gli Stati Uniti, dove licenziare è molto facile al pari di assumere, le variazioni in positivo ed in negativo dell’occupazione variano in tempi molto più brevi, permettendo alle aziende di adattarsi alle situazioni di mercato e riducendo il rischio dei senza lavoro di lungo periodo, che da noi sono mascherati dalla cassa integrazione. Non sono ingessati come noi, insomma.

La burocrazia assurda è un altro costo che le nostre aziende hanno e che i concorrenti stranieri non hanno e così loro si ritrovano, senza colpo ferire, un altro vantaggio competitivo nei nostri confronti.

Tutti questi fattori ed anche altri, mettono le aziende Italiane in grossa difficoltà a competere con i concorrenti stranieri. Come potete constatare, in tutto ciò l’Euro non ha nulla a che vedere.

Poi ci sono anche colpe degli imprenditori.

Non puoi pensare di competere con produzioni cinesi, dove un lavoratore, se va bene, viene pagato 300-600 euro al mese, dove le leggi per la sicurezza e l’inquinamento sono molto più indietro delle nostre, non puoi neppure pensare che i dipendenti siano solo da spremere e non persone che devono sentirsi parte di un insieme più grande dove ciascuno può dare il proprio contributo, se ne è capace e che per questo deve essere premiato; non puoi pensare che tutto quello che viene dall’azienda te lo puoi intascare e non reinvestire nulla. Chi si comporta così, non è un vero imprenditore.

Come in ogni categoria, ci sono le pecore nere e questi non fanno eccezione.

Ricordiamo che, in caso di passaggio alla Lira,  si salveranno solo i ricchi che avranno capitali all’estero, oppure cittadini che avranno per tempo trasformato i loro conti corrente da Euro ad altra valuta straniera. Gli altri si troveranno nello spazio di una notte più poveri di un 30-40% nel passaggio Euro-Lira a come si potrebbe chiamare la nuova moneta nazionale.

Infatti, svalutazione = minor valore + prezzi più alti  + maggior inflazione= più povertà.Speriamo che lo Stato si decida veramente a ridurre il proprio debito approfittando dei tassi bassi dovuti all’Euro e che vere riforme e non interventi di belletto alla Renzi vengano finalmente attuate.

Certo, con i politici poco lungimiranti che abbiamo, non possiamo farci soverchie illusioni.

Fabio Ronchi

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