di Mario Alberto Marchi
Se qualcuno si era illuso su una possibile ripresa economica con tempi più veloci del previsto, magari eccitandosi davanti al rimbalzo del pil nel terzo trimestre di quest’anno, con un +16% superiore alle aspettative degli analisti, ci ha pensato la Commissione Europea a riportare tutti alla realtà. Ed è una realtà che fa male.
Nel report diffuso in questi giorni, si legge che “è improbabile che la ripresa sia sufficiente a far tornare la produzione ai livelli pre-pandemici entro il 2022″.
Una doccia fredda, anche rapportata specificamente al pli, per il quale viene prevista una contrazione più contenuta per il 2020 (-9,9%) ma anche una crescita più lenta nel 2021 (4,1%) rispetto alle previsioni di luglio (-11,2% e 6,1%). Ancora più chiara la condizione che sembra attenderci, guardando al debito, che “salirà nettamente” dal 134,7% del 2019 al 159,6% in 2020, prima di scendere lentamente verso il 159% nel 2022 grazie alla crescita del Pil.
Insomma, la ripresa ci sarà con una lentezza che la nostra economia non è detto sia nelle condizioni di sostenere.
Anche perchè le previsioni così grigie sono modellate su uno schema di economia ormai “fuori covid”, cosa che non è.
Le nuove misure restrittive, il nuovo lockdown imposto in questi giorni, è come un calcio che fa rotolare all’indietro la produttività e i consumi, soprattutto perchè coinvolge la Lombardia.
Subito dopo l’istituzione della “zona rossa”, il Centro Studi di Confcommercio ha fotografato il danno certo: 3.9 miliardi di perdita per la chiusura degli esercizi commerciali e di somministrazione nella regione, dal 6 novembre al 3 dicembre, con un calo del 9% del fatturato.
Solo nell’area metropolitana di Milano, la chiusura di 49.000 esercizi porterà a una perdita di 1,7 miliardi. Quanto peserà sul bilancio nazionale? Difficile tradurlo in pil, ma è evidente che anche solo questo nuovo blocco, allontana molto quegli obiettivi – già abbastanza deprimenti – posti dalle previsioni di Bruxelles.
Ci possiamo permettere tutto questo? Decisamente no.
Anche perchè non ci sono solo i consumi interni con i quali fare i conti, ma anche mercati dell’export che stanno cambiando velocemente le loro dinamiche. Mentre aspettiamo gli ormai mitologici “ristori” da parte del Governo, che anche se fossero adeguati andrebbero a compensare il danno solo sull’ultimo stadio della filiera, ci dobbiamo chiedere cosa cambiare rapidamente. C’è un’economia ormai consolidata per la quale non è immaginabile una trasformazione repentina, ma tutta quella suscettibile all’innovazione è chiamata a un colpo di reni. Magari con un aiuto da parte di quelle associazioni di categoria che nelle loro espressioni più tradizionali, rappresentano più loro stesse che le imprese.