di Mario Alberto Marchi
Gli ultimi undici mesi ci hanno insegnato come in una condizione di emergenza sanitaria sia impossibile considerare, con una sicurezza accettabile, qualsiasi parametro economico; è però naturale chiedersi cosa potrà accadere nell’anno appena iniziato.
Il quadro sintetico più chiaro ce lo regala l’Istat, dandoci anche un impietoso confronto con gli ultimi tre anni. Iniziamo dal fatidico Prodotto Interno Lordo, dato in aumento alla fine del 2021 del 4%; meno della metà della perdita calcolata prima di capodanno, con un crollo dell’ 8,9% e dopo due anni in cui era rimasto sotto l’1%. È evidente che se le previsioni verranno rispettate, si dovrà sperare in un 2022 miracoloso, per affrontare un 2023 con progetto di riassestarsi attorno al pareggio.
Più confortante potrebbe essere la bilancia delle esportazioni, che secondo Istat chiuderebbe l’anno iniziato con un incremento del 10,2%, a fronte di un crollo nel 2020 a -14%. Il progresso su questo dato parrebbe più consistente, ma il problema è che il calo dovuto alla crisi covid già si installava su un poco incoraggiante -0.6%, registrato alla fine del 2019.
Un tema spinoso per qualsiasi previsione è quello dei consumi interni. L’elemento psicologico dell’incertezza può portare le famiglie e le imprese a una prudenza nei consumi e negli ordini che si protrae a lungo.
Istat ci prospetta per la domanda interna generale una ripresa sotto il 4%, dopo un dato critico di chiusura del 2020 a -8%; anche in questo caso si veniva già da un -0,1, che avrebbe certo richiesto un incentivo.
Previsioni peggiori riguardano la spesa delle famiglie residenti che potrebbe crescere del 4,5%, sotto la metà del “calo covid”, calcolato in un -10%.
Quando si parla di consumi e di disponibilità alla spesa, inevitabilmente l’attenzione va rivolta al guadagno, al lavoro. Due voci danno insieme il quadro della situazione attuale e prevista: il numero di occupati, il tasso di disoccupazione.
Istat prevede che il 2021 faccia registrare un recupero di lavoratori occupati del 3,6%. Sarebbe un rimbalzo modesto dopo una contrazione del 10%, ma probabilmente la stima è destinata a essere rivista in senso peggiorativo, anche per la difficoltà nel valutare l’impatto della fine del blocco dei licenziamenti.
La stessa incertezza riguarda la previsione sul tasso di disoccupazione, dato in crescita di 1 punto e mezzo, ma soggetto a troppe variabili.
Insomma, per concludere con una (triste) battuta: non vorremmo essere nei panni di sondaggisti e statistici, destinati a dare previsioni non belle, che potrebbero rivelarsi perfino peggiori.