7.5 C
Milano
domenica, 17 Novembre, 2024

È tempo di cambiare: il packaging deve diventare ecofriendly. Sì, ma quando?

- Advertisement -spot_imgspot_img
Annunci sponsorizzatispot_imgspot_img

di Martina Grandori

Packaging ad impatto zero, il tema è caldo da tempo, non è una novità, bisogna prenderne coscienza, dovremmo entrare nell’ottica del no packaging, del prodotto nudo perché le previsioni sono catastrofiche. Un rimbalzarsi le colpe. A peggiorare ancor di più la situazione ora c’è il Titanic del commercio on-line, di cui oggi – e nel futuro sempre di più – ci avvaliamo tutti anche per la spesa a domicilio. Ad essere sotto i riflettori negativi, ora è proprio l’e-commerce che implica un elevatissimo numero di unità usa e getta di plastica e, purtroppo per noi, anche di carta. Quante volte avrete pensato che spreco insensato quando ricevete a casa da Amazon un piccolo oggetto imballato come se fosse un bicchiere di Baccarat? Oppure quante volte al supermercato acquistando frutta, verdura o pesce o carne avete portato a casa almeno 5 o sei vaschette di plastica che vi impicciano e vi obbligano ad un doppio giro alla raccolta differenziata condominiale?Ecco un problema quello della packaging revolution che tocca anche il sofisticato mondo del lusso, ne hanno discusso ad agosto al Fashion Pact, una tavola rotonda promossa da Emmanuel Macron e il fondo Kering, rappresentato da François-Henri Pinault, Presidente e ceo di Kering, che ha portato alla luce l’annoso problema della moda sostenibile, di cui fa parte anche il problema enorme del packaging usa e getta, ovvero di tutti gli involucri che avvolgono, contengono, proteggono tutti i nostri acquisti. Il problema infatti è proprio l’enorme quantità di plastica mono uso prodotta per l’e-commerce: è spaventosa. Si parla di miliardi di pezzi fra scatole, covers, custodie e shopper. Il resto lo dicono gli analisti delle Nazioni Unite in un report sul cambiamento climatico secondo cui, a livello globale, l’industria della moda è responsabile di circa il 10% di tutte le emissioni di gas serra, il 20% di tutte le acque reflue e consuma più energia rispetto alle industrie aeronautiche e marittime internazionali messe insieme. Arrestare il riscaldamento globale, ripristinare la biodiversità, proteggere gli oceani sono i tre pilastri dell’accordo. Ad aderire al significativo progetto proposto da Fashion Pact, ci sono ovviamente, il gruppo Kering,  Adidas, Bestseller, Burberry, Capri Holdings Limited, Carrefour, Chanel, Ermenegildo Zegna, Everybody & Everyone, Fashion3, Fung Group, Galeries Lafayette, Gap inc., Giorgio Armani, H&M group, Hermes, Inditex (Zara, Mango, Bershka), Karl Lagerfeld, Kering, La Redoute, Matchesfashion.com, Moncler, Nike, Nordstrom, Prada group, Puma, Pvh (Calvin Klein, Tommy Hilfiger), Ralph Lauren, Ruyi, Salvatore Ferragamo, Selfridges group, Stella Mccartney, Tapestry.

L’obbiettivo degli astanti alla tavola rotonda del Fashion Pact? Entro il 2030 eliminare la plastica monouso (sia per B2B, sia per B2C), sostituendo la normale plastica con polietilene green o plastiche rinnovabili o bio.based, materiali ottenuti da fonti rinnovabili, in sostanza non viene prodotto utilizzando petrolio greggio, ma è derivato dalla lavorazione della canna da zucchero o dal mais (entrambe materie prime rinnovabili in maniera naturale), e se si tratta di un PE veramente green, può essere smaltito nell’umido ed 100% reciclabile. Per dare un’idea dell’impatto ambientale, ogni tonnellata di Green PE prodotta cattura fino a 3,09 tonnellate di CO2 contribuendo così a ridurre le emissioni nocive di gas serra. Ci sono però degli impatti sui costi di produzione di questi imballaggi con materiali rinnovabili. la quantità di packagin di cui il mondo ha bisogno è massiccia, basti pensare a tutti i flaconi dei prodotti del mondo della cosmetica (dagli shampoo, alle creme, ai dentifrici), purtroppo i costi per  polietilene green non sono ancora a buon mercato, si parla di un 50-75% in più rispetto alla normale plastica inquinante, solo lo 0,02% dei terreni agricoli del mondo produce ora materiali compostabili. Dati che ovviamente fanno riflettere. L’azienda inglese Repack, nata nel 2011 da un team che ha capito in anticipo il problema senza soluzione dell’impiego di plastica monouso,  ha dato vita ad un packaging riutilizzabile di volta in volta. Ecco come.

Si acquista il packaging del formato desiderato, lo si utilizza per l’acquisto online e poi lo si rispedisce semplicemente mettendolo in una casella della posta e l’importo verrà riaddebitato sul proprio conto corrente. Ad oggi ad usare questo sistema sono solo Gianni, Makia, Weeekday e Zalando. Speriamo che nel futuro subentrino anche altri colossi dell’e-commerce. Purtroppo però c’è anche un altro problema, la quantità di packaging utilizzato per poco tempo nelle aziende. L’israeliana Tipa ha impiegato 7 anni di ricerca per arrivare un packaging a base biologica e fossile con le stesse caratteristiche della plastica, ma computabile al 100%, ovvero che si decompone organicamente come potrebbe avvenire per un materiale naturale. E poi ci sono idee che sembrano folli, ma che probabilmente rappresentano il futuro dell’industria alimentare, e così ci sono innovative start up come la giapponese AMAM che ha deciso di produrre involucri per il cibo commestibili a base di acqua e agar-agar, le alghe rosse. Purtroppo anche in questo caso i prezzi sono troppo alti, impensabili per una larga diffusione. Ma l’importante è cercare di non sprecare, un concetto ancora poco chiaro a moltissimi. Troppi.

- Advertisement -spot_imgspot_img

Ultime notizie

- Advertisement -spot_img

Notizie correlate

- Advertisement -spot_img