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venerdì, 22 Novembre, 2024

Durante e dopo Resilienza a Nola

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Nola ha un centro storico da manuale, abitato e restaurato, restaurato               e abitato, che è la vera quadratura del cerchio, come Bologna, come Bergamo, come Mantova, il cui patrimonio di architettura di città, che viene da un passato millenario, è ancora attuale, vivibile, senza dovere sacrificare niente, né un pezzo di storia per fare da stampella al presente, né un pezzo dell’oggi risucchiato dall’altro ieri. Tutto questo, senza nessun effetto cartolina o senza quelle tremende banalità del paese albergo o del paese museo, che sono la parodia avvilente, di una sopravvivenza                forzata, perché                nella città, che voglia essere considerata tale, ci deve essere la vita, quella vera, che è anche museo, che è anche albergo, ma il quid sta anche in quell’anche, che non è sostitutivo della vita, individuale e collettiva, a trecentosessanta gradi, ma è appunto aggiuntivo e quando c’è, si vede, si sente, si respira e qui, a Nola, c’è il Museo Storico Archeologico. Diretto da Giacomo Franzese, il museo è un’occasione irripetibile, di salvezza, dal degrado, dall’abbandono, con un parametro biunivoco, che da un lato ha ben strutturato, in termini di conservazione, l’edificio, nelle sue basi stanziali e dall’altro ha creato, sì proprio questo è il termine giusto, le condizioni di una utilizzabilità piena, in senso specialistico, museale, per una collezione permanente di interesse nazionale, che dialoga nella mostra Resilienza, curata da Mara D’Onofrio, con le esperienze più puriste della nostra modernità avanzata.  Una modernità che spesso si è attaccata come un rizoma all’antico soffocandolo, e bisogna rifugiarsi nella “resilienza” come via catartica e salvifica. Un’installazione multimediale si impalma alle capanne del Villaggio Preistorico di Nola, (che tuttora annega sotto l’acqua e l’incuria) assemblaggi polimaterici e opere site specific affiancano i corredi tombali e i reperti testimonianti le origini della città. La forza di questo concept espositivo consiste nell’intelligenza e nella sfida, nell’accostare il prima e il dopo senza aspettare che il malato muoia. Come a dire che, un bene materiale e immateriale, così rilevante, non può essere abbandonato ai capricci della sottopolitica e della sottoburocrazia, perché sarebbe un segnale mortale, di casualità e improvvisazione che sarebbe cattiva cultura e cattiva economia. L’amore per l’area nolana ha determinato il mio ingresso in questo spazio, allestito, per accogliere la continuità e la differenza, che caratterizzano lo spirito dei tempi, che entrano ed escono dalla scena, determinando un fluire per fantasia e invenzione. Tutto avvolto nella scena delle sale del museo, che non sono mai prevedibili, perché sono lievitazioni di energia, che si deve espandere e non può essere imprigionata da nessuna schematicità, in una sorta di magmaticità della memoria, che richiama il rito, la magia e non sai mai se stai assistendo ad un gioco innocente oppure ad uno scandalo, perché in mezzo c’è sempre l’uomo. Programmazione è un termine che richiama il fordismo nell’industria e il comunismo nell’organizzazione sociale, due oppositività dialettiche della società di massa, una di mercato e una di piano, ma entrambi partecipanti di una comune filosofia di progresso e arricchimento, tutte cose che oggi risentono di una crisi sistemica della politica, della capacità regolatrice della pubblica amministrazione, che oggi viene meno per la magra del pubblico denaro investito in cultura, dovuto anche  ad una insufficiente consapevolezza, che sottovaluta i frutti a lunga scadenza degli investimenti nel sapere, formativo, laboratoriale, museale, sperimentale, che sono l’altro versante,  quello artistico, della ricerca scientifica, quella che improvvisamente porta alla scoperta della penicillina, porta alla macchina extracorporea cuore/polmoni; anche nel campo delle arti, ci sono questo tipo di risultati, che si chiamano invenzioni, creazioni, tutte cose che non hanno prezzo, in quanto ricchezze e valori immateriali, che non devono diminuire nei momenti di crisi, perché sono propellenti per il motore umano, fondamentale e determinante, in tutto e per tutto; una grande progettualità della cultura, deve sapere  che non esistono realtà idealizzanti, buone per tutte le stagioni, perché entrano in gioco una quantità di variazioni, che richiedono una  grande sensibilità, capace di adattare il progetto iniziale a tutte le situazioni nuove ed impreviste e non è separabile in compartimenti stagni, ma deve saper vivere la molteplicità delle discipline e delle epoche, con la stessa determinazione con cui persegue la singola disciplina e la singola epoca. Durante e dopo.
 

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