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domenica, 17 Novembre, 2024

DOBBIAMO RALLENTARE…

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di Martina Biassoni

Siamo sempre più vittime della necessità imposta dalla società di stare al passo con delle tempistiche dettate da esterni. Non sono ammessi intoppi nel lungo cammino della vita, ma soltanto corse interminabili contro il tempo per riuscire a stare al passo. Si, ma al passo di chi?

Non sono mai stata una di quelle persone che sentiva dentro di sé la propulsione di correre dietro a ritmi dettati da altri, non mi sono mai sentita in dovere di essere allo stesso livello della vita a cui erano gli altri. E tutte le volta che mi sono fermata a constatare, per puro spirito d’osservazione, dove fossero le persone che avessero iniziato il proprio cammino con me, mi sono sentita arrivare da dietro le spalle la risposta, accompagnata d’un po’ di amarezza e d’un po’ di speranza nei miei confronti “vedrai che arriva anche il tuo momento”. Come se per tutti – tranne che per me – io fossi in gara con il prossimo e i traguardi di uno, inevitabilmente, escludessero la mia possibilità di raggiungere i miei traguardi ed obiettivi.

Ognuno, nella propria vita, prende decisioni, sceglie una cosa piuttosto che un’altra, finisce un percorso di laurea triennale in uno oppure dieci anni, con pause, dando gli esami quante volte pensa sia giusto darli. Oppure c’è chi si iscrive e si accorge dopo un paio d’esami che l’università non sia la strada giusta per sé, e c’è chi decide di chiuderla lì, scegliendo altri tipi di esperienze, oppure chi sceglie di portare a temine una cosa che lo/la fa stare male, soltanto perché sente di non poter fare altro nella vita, visto che tutti si aspettano questo da lui/lei. Ho fatto questo esempio perché il numero di universitari che si suicidano a causa della pressione che viene loro imposta dalle situazioni, dai parenti, dagli amici, dalla società tutta, è sempre maggiore.

Non sono un’esperta in materia, ma so per certo che questa non sia una cosa normale, e soprattutto non dovrebbe essere una cosa che ogni universitario non matricola, dotato di un minimo di empatia, capisce perfettamente.

Stiamo facendo della nostra vita una gara, contro tutto e tutti: contro il tempo, contro i compagni, i cugini, gli amici, contro il passato, contro chi dice “hai quasi quarant’anni, quando ti sposi?” oppure “allora, quando lo fate un bambino?? Siete già sposati da tre giorni!”. Stiamo facendo subentrare questa corsa consumistica al prossimo traguardo nella vita quotidiana di ognuno di noi, lasciando ai bambini un mondo che non lascia loro lo spazio di divertirsi, di imparare piano piano, secondo i loro tempi, ognuno a modo suo, senza pressioni perché “ha un anno, ancora non cammina?!” che presto si trasformerà in “ha 25 anni e ancora non ha finito la triennale, si sposerà a cento…”; per non parlare di come ormai non sia più possibile sentirsi male, o l’avere dei problemi invalidanti, perché ci si sente e si viene fatti sentire indietro rispetto agli altri.

Come se, poi, tutti avessimo le stesse priorità, gli stessi desideri, le stesse passioni.

Dobbiamo rallentare, perdere questo bisogno di essere tutti allo stesso punto della vita perennemente e questa necessità di comparazione col prossimo che sono soltanto un nocivo modo di sopravvivere fino alla morte.

La vita è fatta per essere vissuta, bisogna godere di ogni piccola cosa, lasciarsi la possibilità di essere umani, di sbagliare e di stare male. Bisogna accettare ed accettarsi, amare ed amarsi, frenare e fermarsi a lasciarsi ammaliare dal panorama, perché se corriamo sempre verso la prossima destinazione, quando poi saremo nella bara non avremo fatto altro che correre, non avremo visto altro che paesaggi informi che scorrevano accanto a noi, colori che si mescolavano, vite ed esperienze che non ci toccavano, a cui assistevamo ignaramente durante il passaggio.

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