di Mario Alberto Marchi
Nel 2020 sono state registrate 42.000 dimissioni volontarie dal lavoro di genitori di bambini da zero a tre anni. Il dato arriva dall’Ispettorato nazionale del lavoro. In realtà, rispetto al 2019, il fenomeno è in calo considerevole, del 18%. In assoluto ci sarebbe da essere soddisfatti, se non fosse che li dato analizzato nella sue componenti, è invece sintomo di una situazione di grave crisi economica delle famiglie. Sono diminuite soprattutto le dimissioni dei padri (-31,1%) rispetto a quelle delle madri (-13,6%).
Le donne rappresentano il 77% delle persone che si sono dimesse. Oltre il 92% delle dimissioni e risoluzioni consensuali riguarda lavoratori inquadrati come operai o impiegati, con un’età tra i 29 e i 44 anni e nell’88% dei casi la decisione di lasciare il lavoro è presa nei primi 10 anni di servizio. Cosa vuol dire? Che nell’anno della pandemia le famiglie hanno fatto sacrifici più del solito e chi aveva un lavoro con stipendio fisso, ha cercato di conservarlo, malgrado le difficoltà di conciliare lavoro e figli. Il divario retributivo tra occupazione maschile e femminile – che continua a rappresentare un brutto difetto del nostro mercato – ha fatto sì che le madri abbiano sacrificato la loro occupazione, dando precedenza a quella dei padri. Una scelta obbligata, che però fa peggiorare ancora di più la differenza di genere nell’ambito lavorativo.
Va poi annotato che se a lasciare il lavoro sono state soprattutto le figure di “basso profilo”, si apre uno scenario di differenza sociale che rischia di essere ben difficilmente recuperabile in tempi brevi. Se chi ha ruoli ben retribuiti si può permettere di pagare un aiuto famigliare, babysitter o doposcuola, c’è da domandarsi quale sia la prospettiva economica di chi svolge mansioni più modeste e si ritrova a dover fare la scelta a favore dei figli. Il timore è che dietro l’angolo li aspetti il lavoro in nero o la distribuzione del carico economico su chi in famiglia percepisce un reddito sociale. Pensioni o altro. Del resto, anche questi dati si installano su quello drammatico degli sono oltre 2 milioni di famiglie in povertà assoluta, con un milione in più rispetto al 2019. Le famiglie totalmente indigenti sono state 335mila in più, per 5,6 milioni di individui. Sarebbe bello pensare che quei genitori che han lasciato il lavoro l’abbiano fatto per cambiare in meglio, ma a dirci che non è così c’è il dato del livello dell’occupazione nel primo trimestre del 2021: inferiore dell’1,1% a quello del trimestre precedente, con una diminuzione di 254 mila unità e 900mila occupati in meno su base annua. Povere famiglie.