di Veronica Graf
Discoteche sì. Università no. Cresce il dibattito sulla decisione di dare il via libera al divertimento notturno a partire dal 14 luglio e le Regioni stanno scegliendo in queste ore le date di riavvio delle attività. Mentre le Università rimangono ancora praticamente chiuse. E di riapertura non se ne parla. Forse in Italia l’industria del divertimento vale di più dell’”industria” che forma i cittadini del domani?
Il 14 luglio riaprono le discoteche, con lo slittamento di un mese rispetto alla data inizialmente prevista. Dopo bar, ristoranti, hotel e stabilimenti balneari tocca ad altri settori del divertimento e dello spettacolo riaprire i battenti. Per ridare slancio a un’economia spesso legata al turismo che questa estate risente molto dell’emergenza Coronavirus. Come logicamente ci si immagina, tutte le attività dovranno rispettare le regole di distanza e sicurezza previste dal governo per garantire la sicurezza di tutti.
I locali notturni dovranno riorganizzare gli spazi, sia affinché non si formino le classiche file all’ingresso, sia per garantire la distanza di almeno un metro tra frequentatori della discoteca, e di 2 metri per la pista da ballo, si chiede inoltre di prevedere, dove possibile, percorsi di entrata e di uscita separati. E si potrà ballare, ma solo all’esterno.
Mascherina obbligatoria negli ambienti al chiuso, e all’aperto se non si possono mantenere le distanze di almeno 1 metro. Il personale dovrà sempre indossare la mascherina, non si potrà bere al bancone, ma solo ai tavolini.
Ovviamente le discoteche, come hanno già fatto bar, ristoranti e spiagge, dovranno rivalutare la capienza massima. Che sarà decisamente ridotta. Ma si potrà tornare a fare serata, a incontrarsi, a ballare, a bere un drink. Magari i clienti saranno quegli stessi giovani a cui, però, è negata l’istruzione. Perché se l’anno scolastico di primarie, scuole secondarie di primo e secondo grado – eccetto per la Maturità – è ormai terminato, l’Università va avanti. Sempre a porte chiuse. Sempre con la didattica a distanza. E con esami e lauree online.
Sono gli stessi studenti universitari e soprattutto gli utenti di Twitter a chiedersi perché le discoteche sì e le Università italiane no. Il comitato tecnico scientifico ha praticamente riaperto tutto. Ma la scuola, di ogni ordine e grado, no. Anche nei casi in cui l’anno accademico non è ancora finito, visto che l’estate è il tempo degli esami.
Gli studenti universitari non sono stati considerati in questo nuovo piano di riaperture. Così come è successo con i bambini, anche se per loro sono stati pensati centri estivi e bonus baby sitter. Ma non è abbastanza, qui si parla di diritto all’istruzione.
800 docenti e ricercatori chiedono la riapertura in presenza, con una lettera aperta:
“Si riapre tutto ma nessuna misura per le Università. Ripiegare sulla didattica a distanza per altri sei mesi è una sconfitta”. Si teme che dicendo che è conveniente “proseguire l’insegnamento in modo prevalentemente telematico fino a gennaio 2021, si pensi che l’istruzione superiore italiana conti meno delle vacanze in spiaggia, dell’aperitivo al bar, del giro al centro commerciale. Temiamo che dietro questo atteggiamento ci sia piuttosto una concezione della funzione dell’istruzione superiore che riteniamo inaccettabile”.
Certo, l’Università è andata avanti a distanza, come il resto della scuola italiana. Con lezioni ed esami online. E anche discussioni di laurea. Momenti che si dovrebbero ricordare con orgoglio da grandi. E che, invece, rimarranno legati a uno schermo freddo posto tra lo studente e la commissione. Ma il problema è un altro: perché tutto riapre e la scuola no?
Qualcuno ha già ipotizzato che la ragione di questi ritardi sia che tutto il resto crea profitto mentre l’istruzione no. Come se formare i cittadini e i lavoratori del domani non sia un profitto da perseguire per ogni società. E visto che nel caso di scuola ed Università non ci sono di mezzo i soldi, ma qualcosa di più importante: il nostro futuro, perché non tenerlo in considerazione e ignorarlo sempre?