Di Stefano Sannino
I loro idoli sono argento e oro, opera di mano d’uomo. Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono , hanno orecchie e non odono, hanno naso e non odorano, hanno mani e non toccano, hanno piedi e non camminano la loro gola non rende alcun suono.”
Così recitano i Salmi 115:4-9, circa la tendenza sviluppata dagli uomini a venerare e prostrarsi davanti agli idoli di “oro e argento”. Idoli che tuttavia non potevano parlare seppur dotati di bocca, non potevano udire seppur dotati di orecchie né potevano fare null’altro. Insomma, gli idoli di cui sopra erano fredde statue venerate nella convinzione che potessero prendere il posto di Dio. Fu proprio a partire da questo e da altri passi simili presenti nella Bibbia che si sviluppò il dibattito tra idolatri e iconoclasti in seno alla Chiesa Cattolica, messo poi a tacere con il Concilio di Nicea, il quale stabilì definitivamente l’utilizzo delle icone sacre. I Padri della Chiesa decisero che le icone erano da considerare come mera ipostasi della Divinità e non Divinità stessa; di conseguenza l’icona costituiva un mezzo attraverso cui la contemplazione e la preghiera potevano giungere a Dio dal fedele.
Con il passare dei secoli tuttavia, il concetto di icona ha abbandonato l’ambito sacro a cui aveva precedentemente appartenuto, entrando a far parte della vita di tutti i giorni. L’icona, è lentamente diventata una cosa fruibile da tutti, la cui portata non è più solamente spirituale, ma esclusivamente materialista. Nel linguaggio moderno, raramente si sente parlare di icona in termini religiosi se non in ambito accademico. L’icona oggi è un oggetto materiale (o una persona specifica) che rappresenta uno status quo. Il Rolex, ad esempio, è un’icona che tutti noi possiamo contemplare e che molto assiduamente veneriamo come simbolo di ricchezza e benessere.
Oggi, viviamo circondati dalle icone e dal loro culto. Non solo oggetti di lusso quindi, ma anche persone, che hanno trovato il modo di spiccare sugli altri nel loro campo lavorativo. Prendiamo come esempio Anna Wintour, l’iconica direttrice di Vogue America i cui occhiali neri sono diventati un simbolo fashion internazionale: ecco allora che un individuo normalissimo come Anna Wintour, trovando il modo di spiccare sugli altri nel campo del giornalismo fashion e trovando una sua signature, ovvero una sua firma, è riuscita ad entrare nell’immaginario collettivo e far parlare di lei così tanto da produrre film, serie tv e prodotti musicali. In poche parole, Anna Wintour è diventata un’icona della società contemporanea ed intorno alla sua figura è sorto un vero e proprio culto.
Come lei, ce ne sono tante altre e tutte queste persone sono riuscite a trasformare la loro immagine in un vero e proprio culto iconofilo. Non importa se magnati dell’industria, stilisti, modelli, imprenditori, calciatori o politici: tutti vogliono costruire un culto sulla propria persona e diventare icone della società moderna.
Ecco allora che la filosofia iconoclasta non ha granché senso nell’Occidente contemporaneo, perché ognuno di noi vive nel culto delle icone e, anzi, lo adora. Tutti noi amiamo venerare gli oggetti che acquistiamo, le persone che seguiamo e molto più in generale, adoriamo venerare il Denaro, con la D maiuscola.
A tutta la nostra Società piace crogiolarsi in questa perenne adorazione delle icone che lei stessa produce, caratterizzate da una vuotezza e da una mancanza di sostanza che ha lentamente svuotato la Società che le ha prodotte. Gli abitanti del mondo contemporaneo si sono annichiliti per seguire le loro icone, per venerarle e fondare dei culti su di loro. Dom Perignon, Rolex, Gucci, Prada, Bentley e Lamborghini e chi più ne ha più ne metta. Il potere delle icone oggi è così vasto che perfino un oggetto comune può diventare soggetto alla venerazione di milioni, se non miliardi di persone. Iphone, Imac, Ipad dovrebbero essere strumenti elettronici che facilitino la nostra vita, andando a semplificare alcune procedure e invece sono diventate degli status symbol, delle icone di un benessere economico medio-alto, esattamente così come tutte le marche citate poc’anzi. Una cosa semplice come un vestito, che in principio servirebbe soltanto a coprire la nudità umana, è diventato oggi un pezzo d’arte così esclusivo e così a tiratura limitata da divenire fruibile da pochissime persone. Ed è proprio questa fruizione chiusa che ha permesso l’innalzamento del capo di abbigliamento firmato ad icona. Mi spiego meglio: se un oggetto è disponibile per tutti non può diventare soggetto a venerazione e quindi icona perché tutti lo hanno, ma se un oggetto invece è visibile a tutti ma disponibile a pochi, ecco allora che questo entra nell’immaginario collettivo e nei desideri della massa, venendo così innalzato a vero e proprio oggetto di culto. Lo
stesso processo vale, oggi, per tutte le icone contemporanee, visibili a tutti, desiderate da tutti, ma di proprietà di pochissimi. E così, mentre i ricchi diventano più ricchi ed i poveri diventano più poveri, la società continua a crogiolarsi nella sua adorazione iconofila dei prodotti della tecnica umana. Ecco perché “Dio è morto e lo ha ucciso un Rolex”.