di Gabriele Rizza
Chi non ha mai usufruito dei servizi di consegna a domicilio di cibo e bevande, durante il lockdown ha imparato a conoscere Glovo, Deliveroo, Uber e Justeat: colossi mondiali che in Italia impiegano almeno 20 mila fattorini.
La questione del riconoscimento dei diritti e di una situazione lavorativa definita, sembra ora essere sciolta. Il sindacato UGL ha raggiunto l’accordo con Assodelivery, associazione che riunisce le aziende del settore, per un Contratto collettivo nazionale del lavoro. Secondo l’accordo, ai rider verrà riconosciuto un compenso minimo orario di 10 euro l’ora, più un’indennità integrativa per i turni notturni, festivi e in presenza di maltempo, ma – scelta ha scatenato l’ira di molti rider e di altri sindacati come la Cgil – il lavoro sarà considerato autonomo e non subordinato. In più, mancano ancora regole che tutelino il lavoratore in occasioni di malattie a medio-lungo termine e contributi pensionistici più solidi.
Nel confronto e con l’espandersi del settore, che rientra nella cosiddetta gig economy, governo e sindacati non dovranno sorvolare su un ragionamento e sulla realtà dei fatti e quindi chiedersi: cos’è la gig economy e come si esplicita nella nostra realtà italiana ed europea? Negli USA, madre di questa nuova economia, la gig economy si esplicita soprattutto come integrazione del salario di base per permettersi un acquisto o non indebitarsi. Invece, nella realtà europea e italiana in particolare, la gig economy si lega alla galoppante disoccupazione e ai salari compressi in altri settori più ambiti, a tutti gli effetti invisibili della globalizzazione. Il rider non è più solo lo studente universitario che non vuole gravare sui genitori ma è un lavoratore a tutti gli effetti che ha le consegne a domicilio come unica e principale fonte di sostentamento. Da qui, bisogna partire e ragionare perché, oltre alla speranza di crescita occupazionale e soprattutto salariale nel nostro paese, i lavoratori della gig economy necessitano di diritti pari a tutti gli altri. Deve essere una sfida ai tempi che cambiano e alle forme di lavoro sempre più liquide, dove il guadagno del colosso economico de–territorializzato è anche sulle spalle di lavoratori sottopagati e non tutelati e a discapito delle piccole imprese legate al territorio e dello Stato che non riesce a intercettare tasse in relazione a quanto fatturato realmente in Italia.