di Roberto Donghi
Nella giornata di ieri, 2 Ottobre 2020, si sono svolti a Roma i colloqui tra Luigi di Maio ed il ministro degli esteri turco Cavosoglu. I temi trattati hanno spaziato dal conflitto azero-armeno, alla guerra in Libia passando per la crisi greco-turca.
Quella che poteva essere un’occasione per l’Italia di dare man forte a Macron nell’arginare la politica illegale ed espansiva di Erdogan nel Mediterraneo, si è trasformata invece, grazie al nostro ministro degli esteri, in una scena pietosa. Il ministro di Maio non ha infatti inciso su nessuna delle questioni in oggetto ed ha tacitamente negato qualsiasi interesse italiano in tutti i dossier che riguardano la nostra nazione.
Se sul conflitto armeno di Maio si è limitato ad esprimere “preoccupazione per gli scontri, con il rischio di un’escalation militare”, quasi forse ignorando i danni che i droni azeri, finanziati dalla Turchia, stanno provocando in Armenia, sulla Libia ha definitivamente innalzato la bandiera bianca affermando che “In Libia una stretta cooperazione tra Italia e Turchia è essenziale, sostenendo dunque l’azione militare turca a sostegno del governo di Tripoli ed accettando in pratica la guida di Ankara sulla questione.
Un discorso, quello di Di Maio, molto sbrigativo e di circostanza, denso di “soluzioni diplomatiche” in un Mediterraneo che sempre più si sta infiammando e che vede aumentare i conflitti negli stati che vi si affacciano proprio per colpa del neo-ottomanesimo turco.
Un discorso che invita a trovare un dialogo tra l’Europa ed Ankara proprio mentre il presidente del Consiglio Europeo dichiarava fermamente che sì, l’Unione cercherà di mandare avanti il dialogo con la Turchia, “ma se non è questa la via scelta useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione” sanzioni incluse.
Ancora una volta l’Italia si degrada da sola di fronte a problemi che la dovrebbero vedere in prima linea; Di Maio assomiglia sempre più ad un Chamberlain moderno. Viene quindi da chiedersi: arriverà un nostro Churchill?