di Gabriele Rizza
Da novanta giorni, diciotto pescatori italiani sono ostaggio delle milizie libiche di Khalifa Haftar. Le trattative, tenute segretissime, pare non siano ancora ad un punto di svolta. Le richieste del generale di Tobruk vanno adesso nella direzione di una richiesta di scambi di prigionieri: i pescatori italiani, per i quattro calciatori libici incarcerati per traffico di essere umani. La Farnesina si trova in una partita complicatissima, che testimonia l’inarrestabile declino dell’Italia come potenza protagonista nel mediterraneo, non in grado di difendere le posizioni e il prestigio acquisiti dalla nascita della Repubblica in poi.
Per prima cosa, il Belpaese si trova in questa situazione del tutto isolata: l’uscita di scena dell’Italia dalla partita libica fa comodo sia agli amici che ai nemici. La Francia ha tutto l’interesse affinchè la forza dell’ENI in Libia si ridimensioni o che addirittura sparisca, in favore della Total. Del resto, i problemi per l’Italia sono iniziati proprio con l’iniziativa di Sarkozy di rovesciare dieci anni fa Gheddafi, ormai troppo legato allo stivale con il Trattato italo- libico del 2009, durante il governo Berlusconi. Il governo di Tripoli guidato da al- Sarraj in questi anni non ha apprezzato la politica italiana del dialogo con tutte le forze libiche in campo, e non ha intenzione di muovere un dito per aiutare un paese che non ritiene più sincero alleato, anche perché aiutare l’Italia a portare la trattativa a buon fine con Haftar, potrebbe essere un favore allo stesso nemico di Tripoli, e cioè proprio Haftar. La Turchia ha ancora meno interesse a difendere l’Italia, anzi, vista la politica espansionistica di Ankara, ha tutto l’interesse a scalzare una pedina come l’Italia dallo scenario libico, dovendo poi confrontarsi solo con Parigi e con il rivale al- Sarraj. Gli USA invece, presi dal cambio di presidenza e dal disimpegno dallo scenario mediterraneo (ritiro truppe dalla Siria), non sembrano abbiano davvero la voglia di incidere in questa partita a favore dello storico alleato italiano.
La gravità di questo scenario è testimoniato da una novità non di poco conto, che anzi va a umiliare ancora di più il governo italiano: Haftar non rappresenta il classico gruppo terroristico a cui paghi un riscatto o concordi uno scambio di prigionieri, è invece il capo di un governo riconosciuto dall’ONU e appoggiato da potenze mondiali. È un precedente che getta fango sulla credibilità italiana, dover cedere ai ricatti di un governo riconosciuto dall’ONU, indebolirà l’Italia davanti tutti i paesi, specie quelli più “confusionari e agitati” come in Africa, mettendo in pericolo i cittadini italiani presenti in quei luoghi. L’Italia per l’ennesima volta ha perso.