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giovedì, 19 Dicembre, 2024

Cultura, natura ed esoterismo nel Giardino dei Tarocchi

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Di Martina Grandori

Uno spunto insolito per concludere l’estate all’insegna di una gita nella meravigliosa Italia poco conosciuta. Siamo in Maremma, ad un passo dal mare, ad un passo da Capalbio, paesino-presepio insignito del titolo di uno dei Borghi più Belli d’Italia. Cibo locale, aria pulita, mare idem. Una cornice perfetta per concedersi 2 giorni di buon vivere e cultura. È qui che trova spazio l’incantevole opera d’arte Il Giardino dei Tarocchi, definito il giardino della gioia, un piccolo angolo di mondo dove essere felici, un luogo dove uomo e natura s’incontrano e si completano. È questo ciò che desideravae che aveva in mente Niki de Saint Phalle (29 Ottobre 1930 – 21 Maggio 2002) quando decise di intentare la più grande avventura della sua vita, ovvero il Giardino dei Tarocchi. La storia inizia nel 1955 quando si trova a Barcellona. Fra i luoghi della città che visita non manca l’opera di Antoni Gaudì, il Parc Güell: fu un colpo di fulmine, l’ispirazione immediata, Niki de Saint Phalle voleva costruire un suo giardino che ricordasse quell’opera surreale di Gaudì fatto di sculture in materiali diversi, ma tutte profondamente legate al tema delle carte dei Tarocchi. Scelse un luogo esoterico immerso negli ulivi e nel paesaggio ruvido della Maremma su una collina a pochi minuti dalla bella ed intellettuale Capalbio. Il parco sorge su una proprietà di 2 ettari a Pescia Fiorentina (frazione di Capalbio) proprietà dei principi Caracciolo, amici cari dell’elegante e bellissima artista franco-americana. Inaugurato a maggio 1998, resta ancora ad oggi uno di quegli scrigni segreti che racchiudono arte, bellezza e meraviglia tutta italiana, un giardino di ulivi circondato dalla macchia mediterranea con gigantesche sculture ispirate alle carte dei Tarocchi e agli Arcani Maggiori di essi, una chiave di lettura, secondo l’artista,  per capire meglio la vita spirituale ed affrontare di conseguenza i problemi della vita.



Costruirle fu un’impresa che durò moltissimi anni, circa 20. Si autofinanziò in toto (per il costo si parla di 10 miliardi delle vecchie lire), ma per realizzare le sculture si fece ovviamente aiutare da diverse persone e mise insieme una equipe davvero sui generis. Coinvolse anche le persone del posto, come Ugo Celletti, il postino della zona che iniziò costruendo i vialetti che congiungono le sculture, fino ad appassionarsi così tanto che divenne  uno degli esecutori più operativi dei mosaici che rivestivano le sculture. Le statue, di varie dimensioni, hanno tutte armature fatte con barre d’acciaio saldate, piegate a forza di braccia sulle ginocchia dagli uomini della squadra, ricoperte da rete metallica, pronte poi per ricevere la gettata di cemento e infine essere ricoperte di tasselli di varie dimensioni e forme di ceramica, vetri e specchi. Grazie a Venera Finocchiaro, la ceramista del giardino, Niki de Saint Phalle riuscì a sbizzarrirsi in infinite tipologie di rivestimenti per le superfici delle sue amate sculture, tutte sempre diverse, tutte modellate direttamente sull’opera, per poi essere numerate, rimosse e portate in un forno a cuocere. Gli spazi vuoti, venivano successivamente riempiti a mano con pezzi di vetro. Un lavoro certosino, una tecnica che veniva usata dagli Egizi e e che consentiva risultati di grandissimo livello artistico e di perfezione.

La più grande e imponente delle 22 opere – con un’altezza che va dai 12 ai 15 metri – è quella dell’Imperatrice, scultura dove addirittura l’artista ha abitato (all’interno c’era una camera, living, cucina e bagno) di quella che era la sua casa dove viveva nella maggior parte del tempo in cui lavorava on site al progetto e dove tutto il team si riuniva per discutere il da farsi. “Se la vita è un gioco di carte, noi nasciamo senza conoscere le regole. Nonostante ciò siamo tutti chiamati a giocare una mano. I tarocchi sono solo un gioco o indicano una filosofia di vita, si domandava Niki de Saint Phalle? A voi la scelta.

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