Per il Fondo Monetario Internazionale il nostro Paese è il fanalino di coda nel Vecchio Continente per incremento del Pil. Ecco le ragioni.
Andrea Telara –
Ultimi in Europa. E’ il primato non molto lusinghiero che l’Italia può oggi vantare per quel che riguarda la crescita economica. A dirlo è stato di recente il Fondo Monetario internazionale (Fmi), che ha aggiornato le sue previsioni sull’aumento del pil nei maggiori paesi industrializzati. Nel 2019 il prodotto interno lordo in Italia salirà dell’1%, in Gran Bretagna dell’1,5%, in Francia dell’1,6%, in Germania dell’1,9% e in Spagna del 2,2%.
Poca occupazione
I dati dell’Fmi dimostrano dunque che, pur essendo uscito dalla crisi come tutta l’Europa, il nostro Paese cresce ancora a un ritmo inferiore al resto del continente, come è sempre avvenuto da 20 anni a questa parte. Abbiamo insomma i soliti ritardi strutturali che zavorrano la nostra economia. Il tasso di occupazione, cioè la quota di persone tra 20 e 65 anni che lavorano, è tuttora molto basso. E’ pari al 62% circa, inferiore a quello della Spagna (65,5%), della Francia (70% circa) e della Germania (79%).
Bassa produttività
In Italia c’è poi da anni un problema di bassa produttività che il Fondo Monetario consiglia di risolvere con maggiore flessibilità dei salari nelle aziende. Se calcoliamo il pil prodotto per ora lavorata, per esempio, si vede che in media questo indicatore è cresciuto dello 0,3% all’anno nel nostro Paese, 6 o 7 volte meno rispetto alle più grandi nazioni del Vecchio Continente.
Riforme e controriforme
Con questi numeri, anche se gli anni più neri della crisi sono alle spalle, è difficile che la nostra economia torni a viaggiare come un treno. Cresciamo sì, ma gli altri crescono di più, proprio come avveniva 15 o 20 anni fa quando il pil mondiale marciava spedito e noi andavamo così così. Il Fondo Monetario Internazionale ha invitato l’Italia a non fare l’errore di cancellare alcune leggi come il Jobs Act e la Riforma Fornero delle pensioni che, piacciano o non piacciano, hanno fatto sì che il numero di persone presenti nel mercato del lavoro aumentasse. E’ un messaggio indiretto al governo Conte che, almeno per quel che riguarda le pensioni, non verrà accolto.