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COPIA E INCOLLA.

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29 maggio 2018, Milano.
Immaginate di essere al piano terra di un palazzo in cui non siete mai entrati e di prendere l’ascensore per salire di qualche piano; le porte automatiche si aprono e vedete che all’interno ci sono già delle persone ma che vi stanno voltando le spalle, sono di fatto rivolti dalla parte opposta dell’entrata. Cosa pensereste? Ma sopratutto, come vi comportereste?
Questa non è un semplice esercizio di immaginazione, si tratta della descrizione di un vero e proprio esperimento che viene spesso utilizzato in campo psicologico per studiare il conformismo. Con il termine “conformismo” si fa riferimento a quel cambiamento profondo, personale e duraturo nel comportamento e negli atteggiamenti di una persona dovuto alla pressione sociale; detto più semplicemente, in certe situazioni l’uomo tende naturalmente a imitare il comportamento di un gruppo formato da propri simili.
Uno dei maggiori studiosi del conformismo è Solomon Asch, il quale sostiene che di fronte ad una situazione in cui si è insicuri e poco certi di come ci si debba comportare, il comportamento degli altri sarà in larga misura rilevante, pertanto verrà preso come esempio da seguire. Pertanto se il l’oggetto di giudizio fosse chiaro, le opinioni e i comportamenti degli altri non avrebbero alcuna rilevanza ed effetto.
Per dimostrare la propria tesi Asch crea un paradigma sperimentale, diventato ormai un classico nel campo della psicologia: un gruppo di studenti di sesso maschile veniva radunato attorno ad un tavolo per partecipare a quello che pensavano fosse un compito di discriminazione visiva. A turno, e secondo un ordine prestabilito, ogni partecipante doveva stabilire quale tra tre bastoncini fosse della stessa lunghezza di un bastoncino standard. In realtà all’interno del gruppo, solo uno era il partecipante ingenuo, e quindi il vero soggetto dell’esperimento, mentre le persone restanti erano dei collaboratori dello sperimentatore che si comportavano e davano delle risposte già stabilire. Infatti durante l’esperimento il vero soggetto dava la riposta per ultimo, in modo che potesse sentire tutte quelle dei compagni del proprio gruppo, i quali davano di proposito la risposta sbagliata. Nel 33% dei casi i soggetti sperimentali si conformavano alla risposta sbagliata, ovvero di fronte all’evidente risposta errata, il soggetto sperimentale supportava la risposta data dal gruppo.
Al termine dell’esperimento i soggetti sperimentali venivano intervistati per cercare di capire le motivazioni che li avevano spinti a conformarsi. Dai risultati emerge che la maggior parte aveva una visione diversa rispetto al gruppo, ma avveniva la possibilità che le proprie percezioni fossero imprecise e che quindi il gruppo avesse ragione; altri non ritenevano corretta la scelta del gruppo ma vi si adeguavano semplicemente perché non volevano apparire diversi ed essere esclusi.
Un elemento fondamentale del conformismo è l’unanimità, infatti, lo stesso Asch ha dimostrato che basta un solo sostenitore del soggetto sperimentale, ovvero una sola persona nel gruppo che risponde correttamente al test e che quindi si distacca dal gruppo per far abbassare il livello di conformismo dal 33% al 5,5%.
 
L’esperimento proposto da Asch non ha convinto tutti gli psicologi, infatti, alcuni ritennero che il compito era banale e che non c’erano conseguenze significative né per sé né per gli altri, cosa che avrebbe influenzato il comportamento dei partecipanti. Uno dei maggiori critici di questo paradigma è Stanley Milgram, il quale creò un esperimento in cui in base al fatto che il soggetto si conformasse o no, vi erano delle conseguenze importanti.
L’esperimento consisteva nel introdurre un soggetto sperimentale in una stanza con quella che doveva essere un altro volontario, ma che in realtà era un collaboratore dello sperimentatore; veniva fatto credere che il soggetto sperimentale fosse stato casualmente estratto per fingersi il maestro, mentre il secondo volontario doveva impersonale l’alunno. Quest’ultimo veniva portato in una stanza diversa e collegato ad una macchina che procurava una scossa elettrica. Il compito del soggetto sperimentale era quello di fare delle domande al compagno e, in caso di risposta errata, dargli una scossa di intensità sempre maggiore. Ovviamente il volontario che interpretava l’alunno faceva finta di ricevere la scossa e, pertanto, si limitava a produrre dei suoni di fastidio e poi di dolore a seconda dell’intensità della scossa.
I soggetti sperimentali costavano subito preoccupazione per il secondo volontario, proprio per via delle urla e delle grida di dolore che sentivano, ma venivano sollecitati da un terzo individuo vestito da scienziato a proseguire per il bene dell’esperimento.
I risultati mostrano come il 65% delle persone che parteciparono all’esperimento arrivarono a infliggere la scossa con il voltaggio maggiore.  Questi risultati possono essere spiegati dal fatto che una volt che gli individui si sono fatti coinvolgere in una linea d’azione, cioè hanno iniziato a somministrare le scariche elettriche, possono trovare difficile in seguito cambiare idea; questo perché fermarsi significherebbe di fatto ammettere che si è fatto del male ad una persona fino a quel momento. In più entra in gioco la vicinanza alla vittima, si è infatti dimostrato con delle varianti all’esperimento originale che i soggetti arrivavano a dare la scossa massima nel 100% dei casi se la vittima non veniva né vista né sentita, mentre la percentuale diminuiva fino al 40% se la vittima era nella stessa stanza del soggetto sperimentale, e fino al 30% se lo stesso soggetto doveva prendere la mano della vittima e fargli premere il pulsante per dare la scossa.
Inoltre, un altro fattore importate, era la contiguità della figura autorevole, infatti si notava una drastica diminuzione della percentuale di soggetti che davano la scossa finale nel caso in cui lo sperimentatore vestito da scienziato era in una stanza diversa a incoraggiare il soggetto a proseguire (20,5%), oppure se lo sperimentare non diceva assolutamente nulla sul proseguire o meno (2,5%). La presenza di una figura autorevole permette, pertanto, al soggetto che compie un’azione moralmente sbagliata di sentirsi meno in colpa e di attribuire l’intera responsabilità alla volontà di una figura autoritaria di proseguire.
Il fattore che maggiormente influiva sull’obbedienza del partecipante era la pressione del gruppo, infatti nel caso in cui ci fossero stati presenti altri due partecipanti che dovevano dare la scossa che si rifiutavano di proseguire, la percentuale di persone che infliggevano la scossa massima diminuisca fino al 10%, mentre la presenza di due persone che obbedivano all’ordine di proseguire portata la percentuale di obbedienza al 92,5%. La disobbedienza di gruppo probabilmente produrre il suo effetto, perché le azioni degli altri aiutano a confermare la legittimità o l’illegittimità di continuare a somministrare scosse.
Anche se può sembrare estremo, l’esperimento di Milgram, mostra perfettamente una situazione di conformismo e di ubbidienza silenziosa, di cui noi tutti siamo testimoni ogni giorno in forma più lieve. Provate a pensare a queste volte avete semplicemente seguito la folla perché non sapevate dove andare, o vi siete adeguati alla risposta e alle decisioni del gruppo. Ovviamente la domanda a questo punto sorge spontanea, ma se la maggioranza è così forte cosa può fare il singolo individuo per contrastarla? Ebbene anche se sembra impossibile, è stato dimostrato tramite esperimenti e studi da parte di diversi psicologi, ma in particolare da Moscovici, che l’azione della minoranza, intesa sia come minoranza numerica e di potere, può di fatto portare a cambiamenti profondi nella maggioranza, non solo per quanto riguarda i cambiamenti, ma anche per quanto riguarda le convinzioni e i modi di vedere il mondo.
Una minoranza coerente e compatta mette in crisi la norma della maggioranza, producendo incertezza e dubbio; attira l’attenzione su di sé come entità; trasmette l’idea che esiste un punto di vista alternativo e dimostra che l’unica soluzione al conflitto è l’accettazione del punto di vista della minoranza.
L’influenza della minoranza è realmente diversa? Moscovici ha dimostrato che la maggioranza e la minoranza influenzano le persone in modo differente: mentre la maggioranza produce acquiescenza pubblica, ovvero passiva accettazione delle regole imposte che si manifestano solo tramite gli atteggiamenti, la minoranza produce un effetto conversione, ovvero un cambiamento importante sia a livello dei comportamenti esterni, sia a livello privato e interiore. Alcuni esempi di minoranza che porta a cambiamenti sociali possono essere riscontarti nei movimenti pacifisti guidati da Gandhi o Nelson Mandela.
A questo punto è chiaro che un soggetto si trova quotidianamente di fronte a un bivio: conformarsi alla maggioranza ed essere accettato dal gruppo, oppure schierarsi nei confronti della minoranza e opporsi. Non c’è di fatto un giusto o un sbagliato, perché analizzando caso per caso si può notare che talvolta la maggioranza è nel torto, come nei casi di razzismo e intolleranza, oppure è la minoranza che compie qualcosa di sbagliato, come i criminali che non rispettano le leggi comuni.
Rimanendo comunque nella situazione di ogni giorno, voi da che parte vi collocate? Nella maggioranza o nella minoranza?
 

Beatrice Capoferri,
Redazione Milano.

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