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martedì, 17 Dicembre, 2024

#conosciiltuosguardo. L’altro è “nutrimento” alla mia generosità

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[…segue…]

Così come nasciamo naturalmente “tramite” altri: l’amore dei nostri genitori che si sono uniti, la gravidanza di nostra madre che ci ha portato in grembo, i dolori del suo parto, anche da un punto di vista psicologico non nasciamo da noi stessi da soli ma sempre nelle relazioni, dalla relazione con il tu, con gli altri. L’io deve quindi lasciarsi “ammaestrare” dagli altri. Ogni relazione può “ammaestrarci” perché come un maestro c’insegna ad amare e ci spinge alla comunione, alla sincerità, alla responsabilità. 

Ogni relazione è uno spazio intersoggettivo. Essendo spazio ha dei limiti. Sono quelli del rispetto. Sono però limiti benedetti perché sono confini che possono proteggermi e insegnarmi la vera libertà. 

Primariamente io sono responsabile dell’altro a prescindere da quanto l’altro possa essere capace di esserlo nei miei confronti. In ogni relazione c’è una misteriosa asimmetria a priori: devo essere capace di essere-per-l’altro in primo luogo e senza aspettarmi nulla in cambio. E così dev’essere da parte dell’altro nei miei confronti. 

I soggetti di una relazione sana devono avere quel “di più” da donare alla relazione stessa perché questa possa sovrabbondare di doni e mantenersi viva. Tale donazione reciproca, in alcuni casi, può essere unilaterale quando uno dei due si trova in un momento di fragilità. Io e te, in una relazione, doniamo e riceviamo amore, ma dobbiamo essere capaci anche di supplire ad eventuali mancanze dell’altro. 

Scrive il filosofo Levinas: «E poiché la relazione intersoggettiva è una relazione “asimmetrica”, io sono responsabile dell’altro prescindendo dal fatto che anche l’altro possa esserlo nei miei confronti: “l’inverso è affar suo”. Essere spirito umano significa fare qualcosa per un altro». 

Il fatto che «L’inverso è affar dell’altro» vuol dire che io dono e mi dono non perché m’aspetto di essere cambiato ma perché sovrabbondo in me di generosità e quel che dono e appunto un “di più” che io possiedo e posso donare. 

In questo senso l’altro è sempre “quel dono” che mi permette di donarmi, di donare; l’altro è la “presenza-che-attende-da-me” e mi regala di poter scegliere di donarmi a lui. L’altro è “nutrimento” alla mia generosità, alla mia possibilità di essere generoso. Come farei ad essere generoso se non ci fosse l’altro che attende in modo libero e senza pretese il mio amore?

Scrive un teologo: «[…] l’altro non mi appartiene e quindi non posso usarlo per le mie attese e per i miei desideri. L’amore sarà un attendere, ma mai un pretendere. L’amore non è pretendere che l’altro risponda o serva alle mie esigenze, ma è un mettere il mio io a servizio delle attese dell’altro e renderlo responsabile per far uscire la ricchezza che in lui è depositata. Quando questo atteggiamento decentrato è presentato in ambedue i coniugi, qui cresce la vita di coppa nel segno di un amore gratuito e costruttivo, nel segno dell’alterità». 

Il rapporto con l’altro deve essere segnato dalla gratuità e non dall’avidità. Bisogna scegliere di non prevaricarlo mai, cioè di non valicare la sua dignità, di non abusare o approfittare della sua bontà, di non estorcere in modo disonesto il suo amore ma di lasciarlo libero, di non esasperare le sue fragilità, di non affondare il coltello nella piaga delle sue ferite. 

[…continua…]

di Angelo Portale

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