di Angelo Portale
Il paragrafo 35 di Essere e tempo del filosofo Martin Heidegger, medita sulla degradazione del linguaggio che si verifica nella quotidianità media. Il linguaggio è la modalità specifica di espressione dell’uomo e quindi fondamentale alla sua vita e alle relazioni. In questo contesto la «chiacchiera» indica l’uso più elementare del linguaggio e corrisponde alla necessità di comunicare con gli altri esseri umani. Ma in essa può nascondersi un rischio: cercarne una pratica assicurativa scevra da un vero legame con la verità voluta, cercata, trovata, meditata e fatta propria.
Tale rischio che si effettua esteriormente nella «chiacchiera» è però radicato più profondamente in una sorta di esigenza umana che l’uomo ha:
- poter parlare e quindi mostrare una identità a sé e agli altri (“so dire la mia” … anche se spesso quello che si dice non è veramente nostro ma mera influenza degli altri e del contesto);
- avere un’apparente conoscenza di come è il mondo (“si dice”);
- essere riconosciuto dagli altri (per essere ri-conosciuti, cioè percepiti come presenti ed esistenti; chiaramente non meramente nel senso fisico).
Ma l’appartenenza ad uno stesso modo di pensare, quando è un pensare scandente, perché ci sono anche appartenenze a modi comuni di pensare che sono di elevatissimo spessore, causa una rinuncia a pensare personalmente e a porsi con serietà domande di senso. Spesso questa è una scelta intenzionalmente voluta anche se non esplicitata alla coscienza riflessa per alcune ragioni che diremo tra breve e anche perché pensare in proprio costa tanta fatica. Quando si cade a questo livello, il linguaggio diventa quindi «chiacchiera» cioè un «puro fatto comunicativo senza pensiero riflesso e senza risonanza interiore».
La «chiacchiera» è in un certo senso il dominio del “sì dice” senza l’attenzione e la cura che invece bisogna avere verso la parola e il discorso. La «chiacchiera» fa rischiare di dire e di pensare le stesse cose di tutti. La «chiacchiera», così come il «parlare a vanvera», coprono l’angoscia del proprio nulla, permettono di sfuggire all’angoscia che deriva dalla consapevolezza che siamo «esseri-per-la morte».
[continua]