di Angelo Portale
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L’uomo non ha la capacità di riparare il disastro che ha provocato. Le sue sofferenze sono insufficienti a ripristinare quell’ammanco di pena necessario per riequilibrare l’eccesso di colpa. Dio ha dovuto intervenire sia per redimere la sua opera svilita e degradata, sia per espiare un errore non suo. Egli stesso, personalmente, ha pagato il suo compenso di dolore, mettendo a disposizione un supplemento di sofferenza per rinsaldare le cose.
È la sofferenza volontaria di Dio, lo scandalo per eccellenza, l’unico luogo in cui la sofferenza degli innocenti può trovare senso. È però da dire, innanzitutto, che secondo Pareyson non esistono in senso assoluto, sulla terra, né giusti, né innocenti.
Egli è convinto che il male abbia la funzione di mostrare che la virtù vale più dell’innocenza. Il pregio morale, infatti, può essere riferito solo alla virtù: la vera virtù è fare il bene potendo fare il male. Per realizzare il vero bene serve l’alternativa ad esso, altrimenti non è una vera scelta.
È vero che risulta essere angoscioso e tremendamente misterioso il fatto che la libertà non possa affermarsi se non con l’atto stesso con il quale essa può anche negarsi ma ciò non significa che all’esercizio umano della libertà necessiti la caduta come reale. No. La necessità della caduta sta solo nella possibilità. Infatti, in una dialettica della necessità, il male cesserebbe di essere vero male e così il bene. Nella filosofia della libertà non trovano spazio simili supposizioni, come non trova spazio neanche un eventuale stato di ingenuità o di primitiva ignoranza del male. Una tale innocenza non avrebbe nessuna possibile qualificazione degna dell’immensa dignità con la quale Dio ha fatto l’uomo donandogli intelligenza, libertà, responsabilità.