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I “paletti” della libertà sono l’amore. Se amo posso fare quel che voglio. Se quel che voglio è amare non farò nulla di ciò che può ledere la mia e l’altrui dignità. S. Agostino, appunto, scriveva: «Ama e fa’ quel che vuoi» se quel che vuoi è amare. Così ognuno di noi può dire a sé stesso: “Prima di volere, ama. Prima di fare, ama. Poi, soltanto poi, sei pronto per volere e per fare”.
Ecco perché possiamo dire che i “paletti” della libertà sono l’amore. Essi sono infinitamente senza confini e, quasi paradossalmente, estremamente limitati dall’amore. È infinita la libertà di volere e di fare dentro l’amore. Tutto ciò che è amore non danneggia, tutto ciò che amore non è danneggia.
A priori di tutto c’è la responsabilità verso l’altro: «L’io “è” non in quanto si pone, “è” in quanto si de-pone, vale a dire in quanto abbandona la propria soggettività egoistica e imperialistica», scrive il filosofo Levinas. E ancora: «Siamo dinanzi ad una radicale reinterpretazione del soggetto: l’uomo è un essere che si trova originariamente “assegnato” all’alterità e alla responsabilità, prima ancora di ogni eventuale accettazione o rifiuto. La responsabilità, quindi, precede la libertà e risulta anteriore ad ogni soggetto, essi si identifica con l’evento stesso della soggettività, quale apertura primordiale verso il prossimo». Potremmo dire che soggettività e responsabilità si identificano.
L’altro, accanto a me, è la mia vocazione alla responsabilità. «Nella prossimità – scrive Levinas – si ode un comandamento venuto da un passato immemorabile: che non fu presente, che non è cominciato in alcuna libertà. L’io è in tal modo de-posto e destituito della sua sovranità di soggetto intenzionale costituente. La soggettività non è l’io penso, non è l’unità dell’appercezione trascendentale, è responsabilità per altri, soggezione ad altri. L’io è passività più passiva di ogni altra passività è iperbole della passività. Ostaggio d’altri, l’io obbedisce ad un comando prima di averlo sentito, è fedele ad un impegno che non ha mai preso. È un sé che non è mai stato nominativo».
«Questa passività, tuttavia, non esclude, ma fonda l’impegno. Il soggetto non sparisce. Esso è da un lato “l’assoggettato”, dall’altro il subjectum, cioè il supporto su cui grava l’universo: “Il Sé è Sub-jectum: è sotto il peso dell’universo – responsabile di tutto”. La responsabilità incombe su di me e io non posso rifiutare perché in questa responsabilità e la mia inalienabile identità di soggetto. Sono me nella misura in cui sono responsabile».
Emblematica, a tal riguardo, la terribile domanda di Dio a Caino: «Dov’è tuo fratello?». Non sia mai, invece, nostra, la risposta di Caino: «Sono forse il custode di mio fratello?».
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di Angelo Portale