di Angelo Portale
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In Dio non c’è nessuna necessità anteriore, nessuna determinazione sostanziale che ne guida la scelta dell’essenza, né alcuna esigenza di essere che ne costringe l’esistenza. C’è una sola necessità in Dio e la leggiamo direttamente da un testo dell’Ontologia della libertà: «La necessità che Dio ha di essere posteriore alla sua realtà: in lui l’irreversibilità dell’essere non è che l’irrevocabilità dell’atto di libertà. Il “prima” di Dio non è la sua necessità di esistere, che se mai è posteriore all’esistenza, ma è la libertà stessa di Dio. Con la crisi e la dissoluzione del concetto di Dio come essere necessario s’apre dietro l’esistenza di Dio un baratro vertiginoso, che non può essere colmato che dall’assoluta e arbitraria libertà divina. Il “Dio prima di Dio” è dunque l’abissalità stessa di Dio: quell’immane voragine in cui l’abissale libertà divina sprofonda, incontrandovi un altro elemento abissale quale il nulla. Malgrado la fitta caligine che regna in questa profondità, una precisazione s’impone. “Prima” di Dio non c’è propriamente il nulla, né ci può essere, ché Dio non sarebbe Dio […] “prima” di Dio c’è il “Dio prima di Dio”, cioè la sua libertà». È stato Kant a compiere questo superamento. Scrive il nostro: «Kant è stato il grande distruttore, come voi sapete, del concetto di essere necessario, e su questo punto Kant ha detto delle parole che mi sembrano definitive. Non si può ammettere l’essere necessario […] Però qui Kant apre una voragine […] ci dà una figura grandiosa, straordinaria, di quello che può essere l’abisso, perché s’immagina Dio il quale dice: tutte le cose dipendono da me, ma io di dove vengo?», (cfr. L. PAREYSON, Essere, Libertà, Ambiguità, 27).
Voglio concludere questo excursus spezzando una lancia a favore dell’interpretazione pareysoniana di Esodo 3,14, ma non per pura simpatia o perché la sua esegesi di fatto risulta essere molto suggestiva. Le ragioni sono prettamente scientifico-letterarie. Ho fatto una verifica storicistico-esegetica ed ho constatato con molto piacere che anche esegeti di fama mondiale, come Marthin Noth e Gerhard Von Rad, ne fanno la stessa ermeneutica: «Più probabilmente, però, la nostra frase vuole esprimere quell’indeterminatezza che lascia aperte molte possibilità: io sono quello che voglio essere […] in ogni caso è importante il fatto che in ebraico il verbo hjh non esprime il puro ‘essere’, il puro ‘esistere’, ma un ‘essere operante’» (Cfr. M. NOTH, Esodo, Paideia, Brescia 1977, 51-56). L’interpretazione di Dio come abissale libertà, suprema volontà e assolutamente arbitrario del proprio volere è quindi una analisi correttissima che ha numerose basi bibliche. Tanti sono infatti i testi in cui si narra che Dio fa quello che vuole e di questo Pareyson ne è assolutamente convinto, infatti li cita proprio nel paragrafo in cui parla di questo argomento.
[…continua…a martedì prossimo]