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giovedì, 14 Novembre, 2024

#conosciiltuosguardo. Dalla curiosità all’interessamento responsabile

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[…segue…]

Ancora il filosofo Martin Buber scrive: «Responsabilità presuppone uno che mi appella primariamente, da una regione indipendente da me, al quale debbo rendere conto. Egli mi parla di qualcosa che mi è affidato e mi chiede di prenderne cura. Egli mi appella a partire della sua fiducia e io rispondo nella mia fedeltà, oppure nella mia infedeltà nego la risposta, o ancora, dopo essere caduto nell’infedeltà, me ne libero con la fedeltà della risposta». Dove manca la responsabilità «[…] si dissolve il carattere reciproco della vita».

Il vivere comune non può non appoggiarsi su tale carattere perché da un punto di vista ontologico tutti ci troviamo in una “originaria passività” che è radicale istanza di fiducia negli altri, così anche gli altri, viceversa verso di noi. Ognuno di noi presuppone e si aspetta che l’altro sia capace di rispondere (responsabilità) alla nostra naturale esigenza di essere accolti. È la dimensione relazionale a caratterizzarci in modo costitutivo. Ognuno di noi ha bisogno di dare e ricevere una “risposta fedele” capace di esserci prossima. Ognuno di noi è “costretto” ad una “essenziale-relazionalità” con noi stessi e con l’altro.

L’interesse iniziale per l’altro, frutto magari di curiosità, deve diventare interessamento scelto, coinvolgimento, attenzione,  Interessandomi mi “avvicino”, lo scelgo, lo ascolto, lo conosco. Grazie al coinvolgimento durevole e fedele l’altro continua a svelarmi che quel che già so di lui è inferiore a quel che potrò sapere se continuerò ad accoglierlo. La filosofa francese Luce Irigaray nel libro “Amo a te”, nel capitolo “In un silenzio quasi assoluto”, scrive: «Ti considero un mistero e per questo voglio continuare ad ascoltarti. Ti conosco ma non conosco tutto di te quindi continuo ad ascoltarti come colei che non conosco» e ancora: «Questo “ti ascolto” mi lascia lo spazio per il “tuo non ancora”» perché «Ti ascolto non a partire da ciò che so, che sento, che so già, e neppure in funzione di ciò che sono già il mondo e la lingua, dunque in modo, in un certo senso formale. Ti ascolto piuttosto come la rivelazione di una verità non ancora manifestata, la tua, e quella del mondo rilevato attraverso di te e da te».

Solo così l’altro non viene considerato un mondo già concluso ma ancora aperto, conoscibile, amabile, curabile, non determinato definitivamente dal nostro passato già vissuto insieme.

[…continua…]

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