di Veronica Graf
Fraunhofer, SABIC e Procter & Gamble uniscono le forze in un progetto pilota di riciclaggio dedicato alle mascherine chirurgiche, nuova piaga dell’inquinamento urbano, grazie alla pirolisi, il processo chimico che permette una decomposizione chimica del composto grazie all’energia termica, ossia il calore. Sembra così essersi trovata una via di uscita per smaltire il rifiuto emblematico della pandemia, che anche dei prossimi anni di certo non scomparirà, e anzi andrebbe ulteriormente ad impattare sulle discariche, o, peggio ancora, sull’ambiente. In Italia e in altri paesi questo dispositivo di protezione monouso può essere smaltito solo attraverso la raccolta indifferenziata, ma diverse realtà di ricerca e startup hanno iniziato a studiare percorsi alternativi per chiudere il cerchio grazie al nuovo progetto di economia circolare condotto dal Frounhofer Institute.
In collaborazione con SABIC e Procter & Gamble, l’istituto tedesco ha dimostrato la fattibilità di un riciclaggio a ciclo chiuso. In altre parole, è possibile trattare le mascherine usate per estrarre materia prima seconda con cui fabbricarne di nuove.
“Abbiamo deciso di studiare come le maschere di protezione usate potessero tornare alla catena del valore di una nuova produzione”, afferma il dottor Peter Dziezok, Direttore R&D della sezione Open Innovation di P&G. “Ma la creazione di una vera soluzione circolare da una prospettiva sostenibile ed economicamente fattibile richiede dei partner. Pertanto, abbiamo collaborato con Fraunhofer CCPE, gli esperti di Fraunhofer UMSICHT e gli specialisti di SABIC per studiare potenziali soluzioni”. Come partner del progetto, P&G ha raccolto le mascherine chirurgiche usate dei sui dipendenti in Germania, allestendo speciali contenitori di raccolta differenziata. I rifiuti sono stati quindi portati ad una struttura sperimentale di pirolisi. “Un prodotto medico monouso come una mascherina chirurgica ha elevati requisiti di igiene, sia in termini di smaltimento che di produzione. Il riciclaggio meccanico non avrebbe funzionato”, spiega il dott. Alexander Hofmann, a capo del dipartimento Gestione del Riciclo presso Fraunhofer UMSICHT. “Nella nostra soluzione, quindi, abbiamo prima triturato automaticamente le mascherine poi le abbiamo convertite termochimicamente in olio di pirolisi”. Il processo rompe le fibre in polipropilene (PP), di cui sono composte, distruggendo anche possibili contaminati o agenti patogeni. SABIC ha trasformato l’olio in materia prima per la produzione di nuova resina PP. Infine, per chiudere il cerchio, P&G ha impiegato il polipropilene riciclato per realizzare nuove fibre non tessute. Un progetto pilota per valutare se l’approccio a circuito chiuso può o meno funzionare per la plastica igienica e di grado medico. Di lavoro e di ricerca ce ne sono ancora, ma i risultati finora sono stati incoraggianti.