È ancora in corso la mostra “Sciamani. Comunicare con l’invisibile” organizzata presso il Palazzo delle Albere di Trento, evento patrocinato dal comune Trentino e che unisce tre grandi musei della regione: il METS (Museo Etnografico trentino San Michele), il MUSE (Museo delle Scienze di Trento) e il MART (Museo di Arte Moderna e contemporanea di Trento).
Il fiore all’occhiello per questo prezioso allestimento è la collezione della Fondazione Sergio Poggianella, che ha contribuito significativamente a rendere possibile la mostra per l’ampia esposizione di manufatti, abiti e strumenti musicali provenienti dalla Siberia, dalla Mongolia e dall’Asia.
Non di minor importanza, il contesto ospitante, Palazzo delle Albere, un edificio storico del 1500, che fungeva sia da residenza viscontea sia da presidio militare (per via del fossato e delle torrette di vedetta), costituisce un importante punto di partenza, con i suoi meravigliosi affreschi restaurati, nonché di sfida per poter “comunicare con l’invisibile” e quindi conciliare diversi aspetti della nostra storia.
La mostra si concluderà in data 30 giugno 2024.
Chi era lo sciamano? Una premessa
Lo sciamano, al contrario di ciò che potremmo comunemente pensare, è una figura che vive ancora oggi.
Possiamo definirlo in primis come un guaritore, ma la sua non era unicamente una pratica legata alla medicina (o, se vogliamo, alla protomedicina), infatti costituiva anche una guida per la sua comunità di riferimento, così come era anche un custode delle pratiche e dei saperi di quest’ultima.
Possiamo ricostruire la figura dello sciamano da diversi punti di vista scientifici, che si intrecciano necessariamente tra loro: l’archeologia, la filosofia, le neuroscienze, l’antropologia e la storia dell’arte. Questo perché lo sciamano è una figura estremamente poliedrica e sarebbe impossibile averne un’idea tentando di incasellarla in un unico ambito.
Tale figura ha subito almeno fino al Romanticismo un importante stigma derivato dal pensiero cattolico, che la vedeva come l’incarnazione del diavolo, del diabolico (dia-bàllo, “colui che divide”) e del male.
Tuttavia, sappiamo bene che in primis lo sciamano, per sua stessa etimologia, è “colui che conosce”, e allo stesso tempo “colui che si esalta/ si agita”.
Per comprenderlo dobbiamo calarci nel contesto socio-culturale di riferimento e avere ben chiaro il fatto che in passato – e non di meno tuttora in alcune comunità umane – la sfera del sacro permeava ogni aspetto della vita quotidiana, dagli oggetti agli animali non umani, alle piante e ai fenomeni naturali. La vita di tutti i giorni veniva – e viene – regolata attraverso norme non scritte e che si basavano sul rispetto, dove né uomini né soggettività altre vivevano in un contesto definito dalla dicotomia Bene/ Male.
Gli spiriti stessi non sono da considerare come entità malefiche o “demoniache”, ma nella loro essenza greca di dáimon, quindi di “essere divino” in qualità di entità che non possiede un corpo.
Tutti gli individui, dagli esseri umani agli altri animali, così come gli spiriti, in tale contesto sono considerabili neutri: possono agire benevolmente o malevolmente, e comportarsi in questo o quell’altro modo non implica che l’individuo sia interamente un benefattore o un malvagio.
Ma quindi, data questa premessa, chi era lo sciamano propriamente detto?
Lo sciamano, per definizione, è l’unica persona che può entrare in contatto con il sacro. Egli non è eletto tale dalla sua comunità, la sua non è una scelta o una vocazione, ma un obbligo. La decisione spetta infatti agli spiriti stessi, che pretendono sia lui a ricoprire quella posizione.
Tuttavia, essere uno sciamano non porta lustro o guadagni di qualche tipo (pensiamo ad esempio al ruolo sociale che poteva ricoprire), ma unicamente responsabilità e sofferenza.
Gli spiriti infatti, scegliendo lo sciamano, lo gettano in uno stato di malattia, che sia di disabilità fisica o psicofisica (pensiamo alla neurodivergente, fino all’incoscienza e al delirio). Egli viene smembrato nella sua integrità identitaria per poter entrare nel mondo sottile, così che il suo corpo possa incorporare e incarnare l’ordine stesso del cosmo.
Cosa fa lo sciamano?
Attraverso il suo viaggio, lo sciamano varca “la soglia” del sacro e del profano, può vivere momentaneamente con le entità e soggettività altre, per poi ritornare con una nuova identità e mentalità. Pensiamo ad esempio al suo vestiario, costituito dal tamburo e da altri strumenti musicali per comunicare nella lingua degli spiriti, così come per entrare in stati alterati di coscienza.
Similmente, il copricapo gli è utile per impersonificare un determinato spirito o un certo animale, per farsi aiutare nel suo ruolo di guida. Anche le maschere, così come le frange del copricapo, servono a nasconderlo, a occultare il suo volto per evitare che venga riconosciuto nella sua vecchia identità.
Il suo corredo, in particolare se pensiamo al tamburo, morirà con la morte del corpo dello sciamano, che non dovrà avere sepoltura, ma al contrario dovrà essere abbandonato alla natura perché egli possa ritornarvi ed unirsi eternamente con essa, diventando effettivamente parte integrante della stessa.
E le donne?
Certamente anche le donne potevano diventare sciamane, tendenzialmente in condizione di menopausa oppure in stato di disabilità fisica e/o mentale, come per gli uomini.
Quali sono le peculiarità dello sciamanesimo?
Lo sciamano nei suoi viaggi deve potersi anche difendere dagli spiriti che potrebbero volergli nuocere, motivo per cui egli, oltre al corredo propriamente detto, possiede anche delle armi.
Lo sciamano può infatti dover viaggiare nel mondo sottile per guarire i membri della propria comunità.
Secondo tale visione, ogni manifestazione di malattie fisiche o psicofisiche nel mondo “visibile” possono essere dovuti a problemi con alcune entità. Ad esempio, se si ha il mal di testa, può essere dovuto ad uno spirito trickster che vuole dare fastidio o burlarsi di quella persona. In contesti animisti, anche il mal di testa è proprio uno spirito, che vive per tormentare qualcuno.
È chiaro che in società di questo tipo la dicotomia mente-corpo, del tutto occidentale, che vede la mente e il corpo come se fossero poli opposti e interagiscono sporadicamente o solo mediante “impulsi”, è completamente superata e ingiustificata.
Conclusione
La mostra temporanea “Sciamani. Comunicare con l’invisibile” offre, come abbiamo visto, un importante punto di vista culturale, spesso ignorato o sottovalutato.
La storia europea è stata purtroppo troppo spesso teatro di intolleranza religiosa, dove il trattamento riservato ai cosiddetti “pagani” fu il terreno di sperimentazione per il colonialismo mosso nei confronti dei nativi americani oltreoceano (“Animalità tradita”, 2024).
La collezione presente nell’allestimento fa parte di un ricco patrimonio antropologico che dovrebbe trovare sempre maggiore spazio, non solo di indagine, ma anche e soprattutto di esposizione.
Il fatto che pratiche cultuali come quelle politeiste e animiste siano sopravvissute fino a noi, e addirittura, contrariamente a ciò che potremmo comunemente pensare, ancora praticate oggi, è qualcosa che va preservato, tutelato e protetto.
Gli sciamani non sono figure fanatiche, ma ruoli ancestrali da rispettare, che possono anche nel nostro presente offrire molto sia ai singoli sia alla società.
Riappacificarci con loro ci permetterà di ricongiungerci con quella parte della nostra storia che ha subìto un grande e doloroso squarcio, per ripensare il nostro fare comunità e come abitiamo il mondo.
Dott.ssa Giulia Di Loreto
Filosofo