Gli hadith e l’ortodossia
Quando pensiamo all’Islam noi uomini occidentali, a prescindere dal nostro orientamento politico e dalla nostra estrazione sociale, non possiamo fare a meno di essere soggetti ad un vero e proprio bias che ci fa percepire questa religione quantomeno come “problematica”.
In verità, questo atteggiamento di cui spesso ci macchiamo più o meno consapevolmente, non è affatto qualcosa di nuovo, ma può essere ritrovato anche nelle antiche fonti medioevali cristiane, incapaci di riconoscere un pensiero dottrinale musulmano; «lungi dal riconoscere la fisionomia e la dignità di una religione, l’Occidente cristiano poggiava la sua polemica anti-islamica sull’idea, fortemente radicata e ancora oggi diffusa, che l’islam fosse un insieme disordinato di credenze, fondato “semplicemente” su una legge predicata dal suo profeta e racchiusa nel Corano».[1]
Il problema relazionato a questo atteggiamento occidentale è, senza dubbio alcuno, frutto di una cattiva conoscenza della religione islamica così come anche dei testi prodotti dalla stessa; questa carenza tangibile in tutto l’Occidente è responsabile, secondo gli esperti, da un lato dell’incapacità occidentale a riconoscere una dottrina ed una ortodossia islamica al di fuori dell’interpretazione giuridica degli hadīth[2] edall’altro, in modo più generale, del pregiudizio anti-islamico venutosi poi ad esasperare in epoca contemporanea con la minaccia del terrorismo ed il diffondersi della parola jihād.
In sintesi, dunque, che l’interpretazione giuridica sia uno dei punti cardine della lettura coranica non è qualcosa da mettere in discussione, sebbene ne vadano comprese più profondamente le dinamiche. La presenza di milioni di hadīth nella fonte della Sunna, per esempio, non ci dimostra, come credevano i cristiani medioevali, che il mondo arabo fosse scevro di un qualsiasi meccanismo di selezione delle fonti o, anche, che l’interpretazione giuridica fosse l’unica affidata agli hadīth stessi, ma, al contrario, evidenza la forte abilità dei dotti (muhaddithūn) del II e III secolo dell’Egira che si impegnarono attivamente per selezionare la fonte degli hadīth andando a dubitare di tutte le fonti collegate o perfino dell’hadīth stesso qualora una singola fonte non risultasse particolarmente convincente. Esiste dunque, almeno tra gli esponenti della cultura del IX e X secolo, una forte vocazione al riconoscimento dell’accuratezza della fonte, alla sezione esclusiva cioè di quelle fonti e tradizioni che potevano esplicitamente ed inequivocabilmente essere collegata alla vita di Maometto, anche a fronte del fatto che il Corano stesso non fu canonizzato nella comunità sunnita prima del regno di Uthman Ibn ‘Affān, terzo successore di Maometto (VII-VIIIsec.)
Nel caso dell’Islam, dunque, il reale problema non è mai stata la religione per sé, quanto piuttosto l’atteggiamento chiuso e pregno di pregiudizi che la cristianità tutta ha assunto nei confronti di quella che, sopratutto nei primi secoli dopo la sua nascita, fu una religione straordinariamente tollerante e capace di convivere con le altre come mai si era visto fare prima.
Solo l’ignoranza ed il pregiudizio, molto più che la politica e la smania di conquista, sono stati i reali nemici dei rapporti tra Islam e cristianità, sfociati in una serie di conflitti e di asperità ancora oggi a fondamento della nostra politica internazionale.
[1] L. Capezzone, Medioevo Arabo: una storia dell’Islam medievale (VII-XV secolo), Mondadori Università, Milano 2016
[2] Aneddoto sulla vita del profeta Maometto entrato nella tradizione della Sunna ed usato dalla comunità per esprimere giudizi di natura giuridico-religiosa.
di Stefano Sannino