di Gabriele Rizza
Dai no- vax ai religiosi del vaccino, dagli ultras del ddl Zan ai suoi antagonisti, da chi vuole subito lo ius soli a chi non lo vorrebbe mai, tutti in campo sui social a prendere l’una o l’altra posizione all’insegna della polarizzazione banale delle idee e del dibattito: filo conduttore che unisce oggi le modalità di espressione del pensiero, condizionando quindi il pensiero stesso, perché non è solo l’idea a condizionare i modi di esprimerla, ma sono anche le modalità di espressione a condizionare la formulazione delle idee sulle varie questione pubbliche, etiche e politiche.
L’ultima settimana ha mostrato il flop delle manifestazioni dei no- vax, attivissimi su Facebook e Telegram ma pochi in piazza, così non si sono sprecate le analisi politiche e sociali del fenomeno, quasi come fosse un incidente della storia, una macchia da pulire che prima o poi se ne andrà, tralasciando l’aspetto del perché l’idea si estremizza e il dialogo diventa fantasma. Quelli che sono oggi i no- vax potrebbero esserlo domani per una questione nuova, anche per la causa più giusta e sacrosanta, resterebbe però il peso di una banalizzazione estrema delle idee e dello scontro con il solo fine di demolire l’avversario.
Le cause della polarizzazione banale sono molteplici, i social network ne sono un aspetto importante per almeno tre ragioni: una è la situazione ambientale, un conto è esprimere un’idea battendo le dita sulla tastiera, un altro è farlo a voce davanti ad un gruppo di persone. Il rapporto diretto con gli altri porta anche inconsciamente a mitigare e mediare il pensiero, che sia perché c’è la paura del giudizio degli altri o perché in fondo la natura umana è semplicemente fatta di socialità. Tutti hanno dei conoscenti che si esprimono in modo più estremo e brusco su Facebook per poi mostrare più apertura di persona. Il problema subentra quando la solitudine della tastiera porta a fare rete con altri della stessa idea, innescando un circolo di enfasi, chiusura, senso di isolamento di gruppo accompagnato però dall’esclusività dell’avere ragione. Si crea un fondamentalismo laico che il mainstream chiama complottismo, ma lo stesso vale per il politicamente corretto. L’altra ragione è la solitudine/frustrazione, i social hanno il potere di far esprimere le idee a tutti e, in virtù di questo, di farti sentire inascoltato, ancora più solo e isolato soprattutto quando è facile vedere attraverso like e commenti quanto invece altri hanno successo. La reazione di frustrazione può essere quella di considerare gli altri parte di uno stupido gregge, mentre sopra gli altri sé stesso. Rientra in questo caso anche la mancata realizzazione professionale e sociale: una persona sopporta sempre meno quando legge altri esprimersi su ciò che ha studiato, meno si è realizzati tanto più la rabbia cresce e l’apertura mentale cade. L’ultima ragione è la sintesi, i social richiedono velocità, quindi semplicità che molto spesso significa banalità. Non c’è spazio per la complessità, occorre però efficacia e sui social si è efficaci quando si attacca. E’ molto più facile comprendere un’accusa che un ragionamento: basti guardare Fedez – Pillon, Salvini – Boldrini, o qualsiasi discussione politica.
Perché poi il punto nevralgico della questione è questo: non si potrà mai venire a capo di un male se chi guida i partiti e le Istituzioni anziché dare il buon esempio cavalca il malessere sociale per accaparrarsi qualche punto in più nei sondaggi. I politici si affidano ormai solo agli esperti della comunicazione più che alla propria coscienza.