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venerdì, 15 Novembre, 2024

COM’È CAMBIATO IL RUOLO DEL QUIRINALE NEGLI ULTIMI DIECI ANNI

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di Gabriele Rizza

Il dilemma dell’Italia mentre Mario Draghi emerge come favorito per la presidenza. La prospettiva che l’ex capo della Bce si faccia da parte come primo ministro fa rischiare il ritorno dell’instabilità politica“. È così che il Financial Times lancia l’allarme sulla corsa al Quirinale che avrà inizio tra poco più di 40 giorni, spiegando che “la prospettiva che Mario Draghi si dimetta da primo ministro italiano, per assumere il ruolo di presidente, minaccia di far piombare il Paese nell’instabilità politica, proprio mentre il governo intraprende ambiziose riforme strutturali e un piano di ripresa dal coronavirus sostenuto da quasi 200 miliardi di euro di fondi UE“. Mai banali le analisi del giornale britannico, peraltro sempre termometro del clima internazionale attorno all’Italia, ma questa volta viene sottovalutato il più grande cambiamento sostanziale, seppur non di forma, del ruolo delle Istituzioni nel nostro paese: il ruolo del Presidente della Repubblica non è più quello che è stato fino al 2011. Per una serie di ragioni ha un ruolo molto più incisivo nell’indirizzo politico del governo. Abbiamo indicato il 2011, l’anno in cui Giorgio Napolitano nomina Mario Monti senatore a vita, per poi destituire Silvio Berlusconi da Palazzo Chigi in favore proprio del Professore della Bocconi. Tempistiche che lasciano intendere una logica premeditata, ancor più se sono fondate le voci sull’appoggio di Napolitano a Gianfranco Fini nello sgambetto mal riuscito al Cavaliere nel 2010, quando il governo di centrodestra riuscì a sopravvivere solo grazie all’appoggio di tre senatori “responsabili” pescati dal gruppo misto, condannando l’ex leader di Alleanza Nazionale all’oblio politico. Con Giorgio Napolitano si inaugura la stagione dell’interventismo di sostanza nel governo. I rumor vogliono che, a spingere a tutti i costi Matteo Renzi a rischiare il tutto e per tutto con il referendum costituzionale del 2016, sia stato proprio l’ex Presidente della Repubblica, segnando, anche questa volta, il declino politico dell’ex sindaco di Firenze.
La storia prosegue anche con Sergio Mattarella: all’alba del governo gialloverde, quello di Salvini e Di Maio, fu proprio l’ormai uscente – anche se si reclama un suo bis – Presidente a mettere il veto su Paolo Savona come Ministro dell’economia. Ora il Financial Times teme l’allontanamento di Draghi dal governo, come se traslocare da Palazzo Chigi a Quirinale fosse come un esilio politico. A guardare la storia recente non è affatto così. C’è un filo rosso che unisce le azioni del Quirinale degli ultimi dieci anni e che lasciano presagire l’elezione di Mario Draghi a Presidente della Repubblica, senza che questo perda la sua forza catalizzatrice in Italia e all’estero: oggi il Presidente della Repubblica è visto come garante dalle cancellerie europee, l’unico ruolo in grado di presentarsi come interlocutore stabile in un valzer di governi e di alleanze. Non è casuale che l’interventismo del Quirinale sia nato con la fine del bipolarismo, ossia con il tramonto di Berlusconi, l’avvento dell’era dei governi tecnici e l’affermarsi di un terzo incomodo come il Movimento Cinque Stelle.
Anziché gettare il paese nell’instabilità, Mario Draghi potrebbe addirittura far fare all’Italia un passo in più verso un Presidenzialismo sostanziale.

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