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domenica, 24 Novembre, 2024

Collasso, ovvero come finiscono le civiltà

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Dopo essersi chiesto come nascono le civiltà nel suo libro “Armi, acciaio e malattie”, Jared Diamond ha proseguito lo studio nell’opera “Collasso” nella quale analizza le cause che, nel corso della storia, hanno portato diverse civiltà al crollo. Sono diversi i popoli che si sono trovati a subire una crisi tale da spazzar via la loro cultura e la loro civiltà nel giro, spesso, di pochissimo tempo.
Il libro parte dalla descrizione di vari casi emblematici del passato (l‘isola di Pasqua, la Groenlandia medievale, gli Anasazi…) e della nostra epoca (il Ruanda, il Montana…) cercando di trovare i tratti comuni a queste storie.
Tra le cause che portano le civiltà al collasso, Diamond ne individua di cinque tipologie:

  • danni ambientali;
  • cambiamenti climatici;
  • ostilità delle popolazioni vicine;
  • presenza di partner commerciali;
  • risposta della società ai suoi problemi ambientali.

Di particolare importanza è il quinto, che ha a che fare con le modalità di gestione del territorio e dell’ambiente da parte dell’essere umano. Gli errori fatti dalle civiltà antiche si riassumo fondamentalmente in otto categorie:

  • deforestazione e distruzione dell’habitat;
  • gestione sbagliata del suolo (che porta a erosione, salinizzazione e perdita di fertilità);
  • cattiva gestione delle risorse idriche;
  • eccesso di caccia;
  • eccesso di pesca;
  • introduzione di specie nuove;
  • crescita della popolazione umana;
  • aumento dell’impatto sul territorio di un singolo individuo.

A queste cause ne vanno poi aggiunte quattro tipiche della nostra epoca:

  • cambiamenti climatici dovuti all’intervento umano;
  • accumulo di sostanze chimiche tossiche nell’ambiente;
  • carenza di risorse energetiche;
  • esaurimento della capacità fotosintetica della Terra.

Fu proprio la cattiva gestione dell’ambiente e delle sue risorse a far collassare la civiltà dell’isola di Pasqua. Fin dall’arrivo degli esseri umani

Le rovine della chiesa di Hvalsey in Groenlandia.

sull’isola, lo sfruttamento delle risorse presenti, limitate, fece sentire i propri effetti. Il taglio degli alberi più grandi e la lentezza della crescita dovuta al clima, resero ben presto impossibile la costruzione di grosse canoe in grado di reggere l’alto mare. Nei giacimenti di rifiuti più antichi si trovano ossa di delfino, un animale che i primi abitanti cacciavano grazie alle grosse canoe. Ma in breve tempo tale pratica non fu più possibile. Il vero crollo della società dell’isola fu però provocata da ragioni politiche e religiose. I capi dei clan gareggiarono tra loro nella costruzione delle grosse statue votive che tutti conosciamo (i moai). Per trasportare quelle pesanti statue erano necessari degli scivoli costruiti con i tronchi. E per farlo abbatterono tutti gli alberi. La deforestazione espose il suolo all’erosione causata dal vento e dalla pioggia e alla perdita di fertilità del suolo rimanente. Inoltre senza alberi venne meno la fonte di legname da ardere per difendersi dal freddo e per costruire imbarcazioni e oggetti vari. Questo causò fame e, infine, la guerra tra i clan. Si diffusero anche nuovi comportamenti, tra cui il cannibalismo. Quando gli europei arrivarono per la prima volta sull’isola, della cultura che aveva costruito i moai non restavano che rovine.
La copertina del libro.

Un destino simile travolse i Groenlandesi medievali. Giunti dall’Islanda poco prima dell’anno mille, essi prosperarono per quattro secoli. Il segreto del loro successo fu il sistema di valori culturali che li univa e faceva funzionare la loro società. Quegli stessi valori, però, furono la causa della loro fine. Il cambiamento climatico del tardo medioevo, che fece diminuire le temperature, rese l’ambiente della Groenlandia meno ospitale e rese ancor più difficili l’agricoltura e l’allevamento. I coloni non seppero cambiare i loro comportamenti e continuarono con un sistema di vita non più sostenibile. Se avessero imparato dagli Inuit a vivere in quei climi freddi, adottando le tecniche di caccia e pesca di quel popolo, si sarebbero salvati. Ma per i coloni Groenlandesi gli Inuit erano dei barbari pagani, un popolo incivile da disprezzare. L’idea di abbandonare la loro cultura europea e cristiana per adottare i comportamenti e le tecniche di quelli che, per loro, erano solo dei “miserabili” era semplicemente inaccettabile.
I due esempi citati (l’isola di Pasqua e la Groenlandia) sono indicativi del fatto che l’ambiente, da solo, non porta al collasso sociale. Entrambe queste società avrebbero potuto evitare la fine attuando comportamenti diversi e gestendo meglio le loro risorse. Entrambi i popoli non seppero vedere i segni della fine e non fecero quindi nulla per prevenirla.
A differenza, però, delle civiltà antiche, noi abbiamo gli strumenti e le conoscenze per evitare questo destino. Eppure, anche nel mondo odierno si ripetono gli stessi errori e gli stessi comportamenti degli antichi. Con l’aggravante che la moderna tecnologia e la globalizzazione rendono la situazione molto più pericolosa. La tecnologia sta infatti avendo un impatto enorme sul clima e sull’ambiente, facendo danni di una gravità mai vista. Inoltre la globalizzazione sta facendo sì che tali danni siano di livello globale. A differenza quindi dei membri di alcune civiltà antiche collassate noi non potremo emigrare altrove, avendo solo questo pianeta a disposizione. Diamond fa notare la similitudine tra la nostra situazione e quella dell’isola di Pasqua:
Grazie alla globalizzazione, al commercio internazionale, agli aerei a reazione e a Internet, tutti i paesi sulla faccia della Terra condividono, oggi, le loro risorse e interagiscono, proprio come i dodici clan dell’isola di Pasqua, sperduti nell’immenso Pacifico come la Terra è sperduta nello spazio. Quando gli indigeni si trovarono in difficoltà, non poterono fuggire né cercare aiuto al di fuori dell’isola, come non potremmo noi, abitanti della Terra, cercare soccorso altrove, se i problemi dovessero aumentare. Il crollo dell’isola di Pasqua, secondo i più pessimisti, potrebbe indicarci il destino dell’umanità nel prossimo futuro.1
Ai nostri tempi sono dedicati diversi capitoli. L’autore dedica attenzione ad alcuni casi attuali come quello della guerra civile e del genocidio avvenuto in Ruanda nel 1994 o la situazione di crisi economica dello stato del Montana, il quale, per colpa dello sfruttamento indiscriminato delle risorse boschive e minerarie, è passato dall’essere uno degli stati più ricchi degli USA ad essere uno dei più poveri (il quarantanovesimo su cinquanta in quanto a ricchezza).
Molto interessante è l’ultimo capitolo dove Diamond analizza alcuni tipici errori dovuti a una limitata informazione o a una visione ideologica superficiale della realtà. L’autore smentisce alcune convinzioni tipiche anche della nostra cultura, come l’idea che la tecnologia risolverà tutto o che i danni ambientali non siano importanti davanti alle esigenze economiche. A tal proposito l’autore fa notare come, in realtà, la conservazione dell’ambiente conviene all’economia, poiché è dall’ambiente che si ricavano le risorse e la sua distruzione danneggi gravemente proprio quell’economia che da quelle risorse dipende. Per attuare politiche ambientali serie bisogna però superare gli egoismi privati, che spesso fanno ragionare solo a breve termine. L’egoismo delle élite al potere fu determinante nel collasso dell’isola di Pasqua, dove i capi clan distrussero l’ambiente per erigere statue per il loro prestigio, e in Groenlandia, dove molta manodopera fu usata per cacciare i trichechi, dalle zanne dei quali si ricavava l’avorio che i capi vendevano in cambio di oggetti di lusso. Se avessero dedicato quelle energie ad attività diverse, forse non sarebbero giunti alla fame. In questi frangenti le élite si rivelano spesso ottuse e si sentono protette dal loro potere e dalla loro ricchezza. Tutto quel che ottengono, però, è il “privilegio” di essere gli ultimi a morire di fame.
Il libro non affronta solo casi di collasso, ma anche storie di popoli che hanno evitato il crollo attraverso l’adozione di pratiche corrette. È il caso del Giappone dell’epoca Tokugawa. Resisi conto dello stato disastroso in cui avevano ridotto le loro foreste, i giapponesi seppero cambiare modo di fare, attuarono forti rimboschimenti e politiche sostenibili di gestione delle risorse. Allora fu l’autorità (lo shogun) a imporre il cambiamento, forte del suo potere assoluto. Diverso è invece il caso dell’isola di Tikopia, dove alcune pratiche lesive dell’ambiente (come l’allevamento dei maiali) furono abbandonate per una decisione presa in comune, come in comune sono state gestite per secoli le risorse, i terreni, la pesca e perfino il controllo delle nascite. Due procedimenti diversi (l’uno calato dall’alto, l’altro proveniente dal basso) che hanno avuto successo.
Collasso” è un libro che tutti i politici dovrebbero leggere per evitare di commettere gli stessi errori che i loro colleghi del passato hanno fatto. Forse, se traessimo insegnamento dalla storia, oggi potremmo evitare quella catastrofe ambientale, economica e umana verso cui, invece, ci stiamo dirigendo con tanto entusiasmo. A differenza del sottoscritto, l’autore si dice cautamente ottimista per il futuro. Se è vero che assistiamo ogni giorno allo scempio ambientale e all’irresponsabilità di molti, è altrettanto vero che la consapevolezza ecologista è in aumento e che perfino diverse aziende mettono oggi in atto comportamenti più rispettosi dell’ambiente. Si tratta di scommettere su quale “cavallo” vincerà la corsa: sarà più veloce la fine delle risorse o la presa di coscienza delle persone? Lo vedremo tra pochi anni.
Parlare ulteriormente delle tesi di Diamond non è qui possibile. Ci sarebbe molto da dire sulla sua analisi degli errori del passato e delle cause che li determinarono, così come ci sarebbe da discutere sulle sue conclusioni riguardo il mondo attuale. Lascio a voi il piacere di approfondire questi temi leggendo il libro, che consiglio caldamente.

Enrico Proserpio

1Jared Diamond, “Collasso”, edizioni Einaudi, 2007, pagina 129.

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